L’azienda di Cupertino è la prima società quotata della borsa americana a superare la soglia dei 1000 miliardi di dollari di capitalizzazione. La storia di un’azienda che vent’anni era in fallimento, rilanciata dall’invenzione dello smartphone
Apple è la prima società quotata della storia della Borsa statunitense a superare la soglia del trilione, 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione. La quota corona un decennio di crescita ininterrotta innescata dal debutto degli iPhone che hanno trasformato l’azienda di Cupertino da produttore di nicchia di computer in un colosso globale delle comunicazioni. Secondo i calcoli di Reuters, Apple ha spinto il suo fatturato oltre il Pil di paesi come il Portogallo o la Nuova Zelanda. Una crescita che ha subito una forte accelerazione dopo la morte di Jobs nel 2011: sotto la guida di Tim Cook, la società ha quasi raddoppiato i profitti, pur non avendo ancora creato un prodotto in grado di replicare il successo dell’iPhone, le cui vendite infatti cominciano a mostrare il passo, superate dal gruppo cinese Huawei.
Quando vent’anni fa, nel 1997, dopo un esilio durato quasi dieci anni, Steve Jobs riprese in mano Apple, l’azienda stava per fallire. Il lavoro di Jobs, che avviò un profondo processo di ristrutturazione aziendale, puntò soprattutto ad una radicale innovazione dei prodotti, con il lancio inizialmente dell’iMac nel 1998 e l’anno successivo dell’iBook. Novità che restituiscono ad Apple un bilancio finalmente solido, la base finanziaria che permise a Steve Jobs di avventurarsi nelle innovazioni più rischiose: i primi Apple Store, nel 2001, e sempre nello stesso anno iPod e iTunes, che rivoluzionano il modo di ascoltare musica.
Dieci anni dopo il rischio fallimento, il valore delle azioni di Apple è decuplicato, e così Jobs cala l’asso: cambia il nome alla societa’, da Apple Computers ad Apple Inc., coerentemente con la nuova mission produttiva, non più i computer appunto, ma lo smarthone. Nel 2007, anno del lancio del primo iPhone, Apple vendette 1,39 milioni di smartphone, per un fatturato inferiore ai 20 miliardi di dollari e utili per appena 2 miliardi. Nel 2015, anno record, gli iPhone venduti sono stati 231,2 milioni, per un fatturato di 155 miliardi di dollari. L’anno scorso, invece, le vendite hanno toccato quota 229 miliardi e gli utili si sono attestati a 48,4 miliardi, trasformando Apple nella società più redditizia del listino statunitense. Un risultato che dimostra la ‘bontà’ della decisione di Cupertino di scommettere su prodotti più costosi.
Ormai gli smartphone valgono due terzi degli incassi. A conferma che il legame tra il marchio, il prodotto (e un solo mercato) si sia trasformato in dipendenza. La Mela cerca alternative e così nel 2017, l’anno del decennale dell’iPhone, scompiglia il calendario tecnologico e decide di lanciare tre dispositivi: due iPhone 8 e un iPhone X, con un design a tutto schermo che rompe con il passato. E in più, con un prezzo che non si era mai visto prima: 1000 dollari. Nel 2017 la società fattura 229,23 miliardi di dollari, in aumento del 6,3% rispetto al 2016, con un utile di 48,35 miliardi, in crescita del 5,8%. Apple non può più incrementare le vendite, ma punta sulla spesa media degli utenti e differenzia le fonti di guadagno, scommettendo su servizi come Apple Pay a Apple Care. Tra aprile e giugno, i servizi sono cresciuti del 31% anno su anno, portando nelle casse di Cupertino 9,5 miliardi. Ormai valgono quasi quanto iPad e Mac messi assieme e costituiscono una fetta consistente del fatturato: il 17,9%. L’iPhone pesa ancora tanto (il 56%), ma sempre meno. È questa la nuova ricetta che ha spinto il titolo negli ultimi giorni (anche grazie a un piano di riacquisto di azioni proprie da 100 miliardi), consentendo di sfondare quota mille miliardi.