In tempi normali è un tranquillo e un po’ noioso elenco di tabelle e buoni propositi. Ad aprile, invece, il Def sarà la prova del fuoco per il governo, che dovrà tradurre in cifre gli effetti della gelata congiunturale su deficit e debito e spiegare le contromisure per tenere i conti sotto controllo. La partita è cruciale, perché da quei numeri partirà il nuovo confronto con la commissione Ue sul rischio di correzione dei saldi. E Tria la vuole giocare da regista.
Il ruolo del ministro dell’Economia sta diventando evidente in questi giorni di battaglie di parole dentro al governo.
Soprattutto per il fastidio che provoca tra i Cinque Stelle colpiti dal magrissimo 9,7% racimolato alle elezioni in Sardegna. Lo si è visto bene lunedì, mentre il lungo spoglio sardo sfornava i suoi risultati in cifra unica per le liste del Movimento. Tria in televisione ripete pari pari un concetto già espresso venti giorni prima alla Camera, cioè il rischio di fuga degli investitori da un Paese che «cambia i contratti e le leggi». E l’obiezione alle convulsioni sulla Tav, ignorata tre settimane prima a Montecitorio, fa esplodere i Cinque Stelle: Di Maio trattiene a stento la richiesta esplicita di dimissioni del ministro, Toninelli gli ricorda a muso duro il contratto e gli intima di rispettarlo. La Lega tace. Il premier anche.
Non che con il Carroccio sia tutto rose e fiori. Ma sui nodi più grossi, dalla tenuta dei conti alle ipotesi di riforma fiscale, per Tria è più facile trovare un linguaggio comune con la Lega, soprattutto quando l’interlocutore ha un curriculum politico e amministrativo ricco come quello di Massimo Garavaglia o Giancarlo Giorgetti. Con i Cinque Stelle la battaglia è quotidiana. E non risparmia i botta e risposta tra ricostruzioni fatte filtrare ad arte e smentite secche del ministro.
Fatto sta che Tria sulla prova del nove del Def non vuol sentir parlare di rinvii, e lo ha detto chiaro in Parlamento. Anche perché lo stop farebbe piacere alla politica che guarda alle elezioni europee, ma darebbe un messaggio urticante a mercati e investitori in cerca di risposte. E non vuol sentir parlare di battaglia con l’Europa sui rimborsi a tutto campo ai risparmiatori, nonostante gli annunci questa volta perfettamente allineati di Salvini e Di Maio. Il rischio di illegittimità, e di responsabilità erariali pesantissime sulle spalle dei tecnici chiamati a far partire il meccanismo amministrativo degli indennizzi, è troppo alto: con l’Europa si negozia, anche se richiede un tempo più lungo rispetto agli annunci di «decreto in settimana» ripetuti a più riprese dai leader politici.
Ma è sullo snodo strategico degli investimenti pubblici che si giocano i nuovi equilibri nel governo. E qui il confronto è con un altro “tecnico” che studia da politico: Giuseppe Conte. Sulla linea della mediazione istituzionale contro le intemerate di Lega e Cinque Stelle Conte e Tria si trovano d’accordo da dicembre, quando hanno deciso con Bruxelles la riscrittura della manovra per evitare la procedura d’infrazione. Ma se il copyright governativo sugli sforzi anti-crisi a suon di investimenti è indiscutibilmente di Tria, il fiorire di “cabine di regia” a Palazzo Chigi mostra che Conte ha tutta l’intenzione di intestarsi la sfida. Sempre che la frenata dell’economia e le paure pentastellate sul Codice appalti non corrano troppo più veloce di un rilancio degli investimenti che per decollare davvero ha bisogno di tempi più lunghi.
© Riproduzione riservata
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-02-27/conti-banche-tav-tria-torna-centro-scena-e-trova-conte-121518.shtml?uuid=ABZ2tkYB