L’economista italiano dei trasporti Marco Ponti mette in dubbio, dati alla mano, l’utilità della direttrice Lyon-Torino-Trieste. Il traffico merci su ferro è una priorità Nord-Sud, dai nostri porti al Centro-Europa. Costi-benefici o costi-efficacia?
Marco Ponti è forse uno dei più noti economisti dei trasporti italiani. I suoi interessi l’hanno portato negli anni a fondare una vera e propria scuola di trasportisti che si occupano di contabilizzare gli effetti dell’inquinamento generati dal trasporto sul territorio. Ma Ponti è anche l’esperto che da anni studia la sostenibilità della TAV, sviluppando quell’analisi costi-benefici che sta tanto a cuore all’elettorato dei Cinque Stelle, e che metterebbe in dubbio l’utilità dell’alta velocità sul tratto che va da Torino a Trieste. E’ anche per questo che il nuovo ministro delle infrastrutture Toninelli l’ha voluto nel suo staff tecnico. Cosa dice Ponti lo sappiamo: i costi dell’alta velocità italiana sono tripli di quelli in terra francese, e i treni che ci passano sono troppo pochi per giustificare l’investimento. Il costo al chilometro in realtà non muta, quello che fa alzare il conto sono le opere complementari e le mitigazioni territoriali che in Italia hanno da sempre un peso importante. Tutto questo investimento, come detto, non sarebbe compensato da un traffico adeguato, almeno nell’asse padano. I numeri sembrano dargli ragione. Il Rapporto Commerciale 2018 di Rete Ferroviaria Italiana evidenzia per il cargo (quindi settore merci) la presenza di sole 20 coppie di treni immesse nell’asse ferroviario da Trieste verso Torino, contro le 60 del valico del Brennero e gli 80 del cosiddetto “Terzo valico”. Il traffico merci è dunque una realtà principalmente nord-sud, i collegamenti che servono principalmente sono quelli con l’area centro europea, in particolare originati dai nostri porti. Il traffico est-ovest, in particolare i collegamenti con l’Europa dell’est, sono dunque ancora in mano agli autotrasportatori. L’Europa se n’è accorta da tempo finanziando le imprese dell’autotrasporto dell’est con importanti risorse per il rinnovo del parco automezzi. Ma l’Italia non può nascondersi dietro le sue responsabilità: da decenni lo Stato finanzia i camionisti con importanti agevolazioni sul gasolio ma poco o nulla l’intermodalità per favorire il passaggio dalla gomma al ferro. Un sostanziale strabismo tra incentivi verso la gomma e politiche infrastrutturali verso il ferro, col paradosso di costruire una ferrovia parallela ad un’autostrada (l’A4 Trieste-Torino) costantemente intasata dal traffico pesante. La conclusione di Ponti non fa una grinza: con i motori del futuro, quelli elettrici e a basse emissioni, il traffico tornerà ad essere appannaggio dei camionisti, e le ferrovie verranno abbandonate perché obsolete e sempre meno sicure. Il treno, insomma, non sarà più “de sinistra”, come titolava la Repubblica qualche mese fa. Forse però la sinistra ha dimenticato che – ancor prima del servizio ai sistemi produttivi – le infrastrutture servono per rendere accessibili i luoghi e quindi meno isolati i cittadini: c’è un’etica anche tra il cemento.
Ps: a proposito di costi benefici. La linea Merano-Malles, attiva da qualche anno, è stabilmente in perdita. Eppure la sua apertura ha portato ad un aumento del pil diffuso del Meranese di almeno un milione di euro, grazie al maggiore afflusso di turisti svizzeri. Forse più che di costi-benefici varrebbe la pena parlare di costi-efficacia.