Le ricerche svolte dal dottor Christopher Kerr casa di cura per lungodegenti Hospice Buffalo di Cheektowaga (stato di New York), hanno preso il via probabilmente perché è impossibile non porsi qualche domanda in più quando si ha a che fare in maniera così profonda e regolare con la morte.
Delle leggendarie esperienze pre-morte ogni casa di cura e ospedale ne è pieno, in realtà chiunque abbia indossato un camice bianco e abbia avuto a che fare con uomini o donne in procinto di lasciare questo mondo potrà raccontare di sogni che si assomigliano tutti. Al dottor Kerr non è sfuggito questo particolare: perché chiunque sia sul punto di morte sogna dialoghi con persone già scomparse?
Nella storia tutti hanno provato ad indagare la faccenda, dai teologi ai filosofi, dagli antropologi ai sociologi. Tutti. Come scrive anche il New York Times, perfino in scritti medievali, in quadri rinascimentali, nelle opere di Shakespeare, in alcuni dei maggiori romanzi americani e britannici del 19esimo secolo sono presenti indagini sull’argomento; si dice che Dickens ne fosse quasi ossessionato. Il cinema poi, dal “Settimo Sigillo”, capolavoro del genio visionario di Ingmar Bergman, al cult del 1990 “Linea mortale” diretto da Joel Schumacher con Julia Roberts e Kiefer Sutherland, fino ad arrivare a quelle ultime parole pronunciate sul letto di morte dal Charles Foster Kane di “Quarto Potere”, quel “Rosebud…” come fosse un momento di improvvisa lucidità.
Insomma la morte, o meglio la sopravvivenza dell’anima ben oltre la data di scadenza del nostro corpo, non può non essere al centro di qualsiasi dibattito culturale. E negli ultimi anni per quanto riguarda la scienza è stato proprio il dottor Kerr a prendersi in carico quella che forse potrebbe rappresentare la ricerca non solo più importante ma anche più rischiosa. Ovviamente l’impressione più comune, come scrive La Stampa, è che il tutto sia da attribuire ad “allucinazioni causate dalla febbre o dai farmaci, o a uno stato d’ansia da attenuare con altre pillole”.
La ricerca di Kerr e la consolazione dell’ultimo viaggio
Ma la ricerca di Kerr metterebbe perlomeno il dubbio che qualcosa di scientificamente inspiegabile avvenga quando si prende consapevolezza della propria prossima morte. L’88% dei pazienti esaminati da Kerr prima che una malattia se li portasse via hanno dichiarato di aver fatto la stessa identica tipologia di sogno e il 99% di loro ha dichiarato di essere convinto che si trattasse di un’esperienza ben diversa, molto più “tangibile”, di qualsiasi altro sogno abbiano mai fatto prima.
Un’esperienza non solo unica ma anche benefica e consolatoria, come se qualcuno già “oltrepassato” volesse rendere meno traumatico il passaggio da una vita all’altra. Come continua La Stampa, “tutti hanno detto di avere visto i propri cari con estrema nitidezza: “Vedevo ogni particolare del volto di mia madre, di mio padre e di mio zio – ha detto una paziente di nome Jeanne -. Stavo bene di nuovo con loro, mi sentivo serena”.
Maggie ha sognato la sorella Beth e le ha chiesto di restare, ma Beth ha risposto: “Ora no, ma presto saremo insieme”. Ai sogni si associa spesso un forte desiderio di partire e alcuni malati chiedono di preparare la valigia. “Morire è un paradosso – dice il dottor Kerr -. Fisicamente stai declinando, ma spiritualmente e emotivamente sei vivido, presente e consapevole”. Infatti c’è una specifica molto importante da fare: tutti i pazienti intervistati non hanno vissuto esperienze di pre-morte, non sono insomma quei casi di presa della vita “per la coda” da professionisti della rianimazione, ma, come dice Pei C. Grant, direttore del gruppo di ricerca: “Queste sono persone in un viaggio verso la morte, non persone che lo hanno mancato”.
La differenza è netta. Le interviste sono state svolte tutte nell’Hospice Buffalo, una struttura che si prende cura ogni anno di circa 5000 pazienti, quindi con un grande assortimento di esperienze da studiare. La maggior parte degli intervistati ha raccontato della sua esperienza come confortante, in pochi si sono sentiti “angosciati” dal sogno. Nello studio, pubblicato per la prima volta su The Journal of Palliative Medicine nel 2014, i sogni vengono divisi in diverse categorie. Ci sono pazienti che interagiscono semplicemente con cari che li rassicurano sul trapasso, in molti invece affrontano persone scomparse per risolvere affari in sospeso, affari che spesso, ma questi occupano ragionevolmente una categoria a parte, hanno a che fare con vecchi amori mai davvero risolti.
Crederci cambia il modo in cui ci prepariamo alla morte
Nella maggior parte dei casi comunque il sognatore in procinto di morire viene rassicurato sul fatto di essere stato un buon figlio o genitore e ci si prepara, spesso proprio con la preparazione di valigie, ad un viaggio. Ad accogliere la ricerca con entusiasmo il dottor Timothy E. Quill, un esperto di medicina per cure palliative presso l’Università di Rochester Medical Center: “L’enorme sfida di questo lavoro è aiutare i pazienti a sentirsi più normali e meno soli durante questa insolita esperienza di morte. – ha affermato – Più possiamo articolare che le persone hanno sogni e visioni vivide, più possiamo essere d’aiuto”.
Insomma, non c’entra se tutto questo sia vero o falso, stimolato da farmaci o dalla reale esistenza di un aldilà pronto ad accoglierci, ma scientificamente crederci potrebbe fare la differenza nel modo di affrontare la fine della vita. Quindi nel ragionamento forse per una volta non è del tutto errato non considerare la parte scientifica della questione, quella che ci riferisce che in realtà circa l’85% dei pazienti ospedalizzati alla fine della vita soffrono di deliri e che in uno stato di delirio, causato da febbre, metastasi cerebrali o cambiamenti di stadio finale nella chimica del corpo, i ritmi circadiani sono gravemente disordinati, quindi il paziente potrebbe non sapere se è sveglio o sta sognando.
La cognizione della realtà insomma è alterata. Questo risolve la questione? Impossibile, si sa. La verità potrebbe stare in mezzo o, quasi certamente, altrove, e per conoscere la risposta per certe domande anche la scienza deve alzare le mani e arrendersi. Nessuna ricerca scientifica, per quanto autorevole, potrà mai fare luce sul mistero più importante della nostra vita, quello che riguarda il momento in cui la vita finisce. Un mistero che solo in quel momento sarà, speriamo felicemente, svelato.
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