Allarme lanciato da Legambiente Lombardia: i laghi lombardi sono sempre più prosciugati dai bisogni irrigui dell’agricoltura, in particolare del mais, la coltura più esigente, cui non sono stati sufficienti le piogge pur abbondanti di questo 2018
“Te, Lari Maxime”, lo appellava Virgilio nel secondo libro delle Georgiche. Eppure, altro che massimo, oggi, il Lago di Como è al minimo. Tra ville, paesaggi incantevoli e gossip sulle gite fuoriporta di Cristiano Ronaldo e famiglia, ad accendere i riflettori sull’altra faccia del Lario ci ha pensato Legambiente Lombardia, che ha lanciato l’allarme: “E’ ormai chiaro che è stato superato il limite delle disponibilità idriche”. La fotografia scattata dall’associazione ambientalista è tutt’altro che da cartolina: “il pelo dell’acqua è quasi 30 cm sotto lo zero idrometrico – scrivono – molto vicino al minimo storico per questo periodo, affiorano spiagge e distesi di ciotoli dove di solito c’è solo acqua, le riserve idriche lacustri sono al lumicino”. Una situazione condivisa anche da altri laghi lombardi, come il lago d’Idrio, oppure il Sebino, “che può contare ancora su un misero 15% di scorte idriche prima di raschiare il fondo”.
Insomma, presto sarà crisi se non arrivano le piogge, anche se, spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, “i dati dei pluviometri raccontano un’altra storia: quella del 2018 è stata finora, dal punto di vista delle precipitazioni, un’annata assolutamente normale. Gli apporti di acqua al lago di Como sono stati, dall’inizio dell’anno, perfettamente allineati alla media degli ultimi 70 anni e perfino il mese di agosto nel bacino montano dell’Adda si è rivelato finora piovoso”.
Nessuna siccità dunque, lo stato pietoso in cui versano i laghi Prealpini e, in particolare, il Lario e il lago d’Idro si spiega col fatto che questi bacini hanno livelli regolati da dighe sugli emissari, in funzione dei bisogni irrigui della pianura. In agosto la campagna ha sete perché giunge a maturazione la coltura più esigente di tutte, il mais, coltivato su quasi 300.000 ettari di superfici nella sola Lombardia: un terzo della superficie agricola regionale, che chiede tanta acqua soprattutto nei mesi più caldi, luglio e agosto. Seppur abbondanti, dunque, le piogge non sono state sufficienti per abbeverare i campi, che si dissetano ormai dell’acqua ‘fossile’ accumulata come ghiaccio nei secoli scorsi e che si sta sciogliendo per effetto del caldo di questi giorni. Un bonus che tra pochi anni, a causa del cambiamento climatico, non ci sarà più.
“L’agricoltura ha investito troppe superfici alla monocoltura del mais, per far fronte all’enorme fabbisogno di mangimi per gli allevamenti della nostra regione, che non ha pari in Italia – prosegue Di Simine – Un’agricoltura che evidentemente non fa i conti con i limiti sempre più stringenti imposti anche dal cambiamento climatico: più caldo in estate e sempre meno acque di fusione di nevai e ghiacciai”.
“E’ necessario cambiare agricoltura – concludono da Legambiente – introdurre rotazioni e avvicendamenti del mais con colture che esigono meno acqua, usare sistemi di irrigazione più efficienti, ridurre il carico zootecnico. Il cambiamento climatico non è un’opinione, ma una realtà con cui anche la forte agricoltura specializzata lombarda deve fare i conti”.