Ai primi di febbraio il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, e il suo vice Joerg Kukies si sono recati a Londra. Lo rivela il Financial Times, secondo il quale l’obiettivo dei due esponenti del governo di Berlino è ascoltare il parere dei big della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs e Bank of America, non sulla Brexit o sul rallentamento dell’economia della Germania, ma su come rianimare le due principali banche tedesche Deutsche Bank e Commerzbank, magari fondendole, con l’obiettivo di salvarle entrambe.
Un gigante dai piedi d’argilla
Uno dei più grossi problemi di Deutsche Bank è quello di essersi lasciata sedurre dal modello della ‘banca casinò’, arrivando perfino a controllare attività per 4,3 miliardi di dollari, che facevano capo ai casinò di Las Vegas. Non solo. Tra il 2011 e il 2018 ha accumulato una perdita netta 6 miliardi di dollari ed e’ stata multata per 14,5 miliardi per attività che vanno dalla vendita dei titoli ipotecari al suo ruolo nello scandalo Libor. Anche le sue strategie per ammortizzare le perdite speculative non hanno funzionato, come dimostra il fatto che le sue azioni sono crollate ai minimi storici (-90% negli ultimi 11 anni) e che gli analisti hanno apertamente messo in discussione il suo modello di business, basato sull’investment banking.
Anche Commerzbank, la seconda banca tedesca, non se la passa per niente bene e proprio per cercare di salvare questi due istituti, che potrebbero rivelarsi decisivi per puntellare un sistema industriale essenzialmente basato sull’export come quello tedesco, specie in caso di recessione, Scholz e Kukies si sono recati nel cuore della finanza globale per chiedere lumi sulla fusione ai massimi esperti del settore.
Un accordo che nasce dalla “disperazione”
A suggerire al governo questa soluzione, secondo quanto rivela il Financial Times, è Paul Achleitner, il presidente di Deutsche. “È importante che noi in Europa restiamo forti e indipendenti”, afferma al Ft Simone Menne, ex direttore finanziario della compagnia aerea tedesca Lufthansa, secondo il quale “può essere sensato unire le forze e, quando si tratta di politica finanziaria, perseguire un approccio più europeo”, cioè un approccio piu’ svincolato dal modello, tipicamente Usa, della finanza casinò. Tuttavia non tutti gli esperti finanziari sono d’accordo con la soluzione della fusione. “Riteniamo che un accordo debba avvenire solo nel breve termine”, afferma al Ft Stuart Graham, fondatore di Autonomous Research, “un accordo del genere nasce dalla disperazione e il governo lo vuole attuare per prevenire un contagio”.
Nel 2018 la crisi di Deutsche si è acuita, Achleitner ha licenziato l’amministratore delegato britannico John Cryan, a favore del “lupo” tedesco Christian Sewing e alla fine dell’anno la polizia ha perquisito il quartier generale della banca nell’ambito un’indagine sul riciclaggio di denaro sporco. Sarebbero stati proprio questi raid a rendere più urgenti le pressioni per una fusione delle due grandi banche tedesche, alla luce dello scandalo della banca danese Danske, allargatosi fino a colpire Deutsche, e dell’inchiesta del Congresso Usa sulle relazioni tra la stessa Deutsche Bank e il presidente Donald Trump.
A guidare il progetto di fusione, secondo il Ft, c’è il prudente socialdemocratico Scholz, che Angela Merkel ha nominato vice-cancelliere l’anno scorso. E Kukies, il suo emissario nel mondo finanziario, ex trader di prodotti derivati di Goldman Sachs, educato ad Harvard, che è l’opposto del suo capo: fiducioso, sfacciato, esuberante. La fusione è un progetto che ha implicazioni non solo tedesche ma anche europee, visto che porterebbe alla nascita del secondo polo finanziario dell’Eurozona (dietro Bnp Paribas): un gigante con con circa 2.000 miliardi di euro di asset, 845 miliardi di euro di depositi, oltre 2.500 filiali e 141.000 addetti, contro i 92.000 di Deutsche, di cui almeno 20.000, secondo gli analisti, potrebbero andare persi.
Una questione di sovranità
Scholz è uno sponsor convinto della fusione e ha adottato una posizione molto più attiva rispetto al suo predecessore, sostenendo che avere banche forti e stabili è una questione di “sovranità nazionale”, perché le banche tedesche “non hanno le dimensioni e l’impronta globale necessarie per traghettare settore industriale” a livello mondiale, in quello che ormai appare come uno scontro con la concorrenza industriale cinese e il sistema finanziario statunitense.
Un’altra preoccupazione del ministro è che Deutsche da sola potrebbe non essere in grado di sfuggire a ciò che James von Moltke, il responsabile finanziario della banca, ha definito un “circolo vizioso di entrate in calo, spese in aumento, rating in diminuzione e costi di finanziamento crescenti”. L’anno scorso la banca ha generato un utile netto di 341 milioni di euro, il primo dal 2014, ma inferiore del 20% al target previsto. Il gruppo inoltre ha realizzato un ritorno sul patrimonio di appena lo 0,5% nel 2018, un ventesimo rispetto al suo obiettivo, e la sua banca d’investimento ha perso 303 milioni di euro lo scorso trimestre a causa della decisione dei grandi clienti istituzionali di trasferire la loro attività altrove.
Il governo e’ anche preoccupato per la redditivita’ delle attività dei prestiti corporate (quelli concessi alle grandi imprese) di Deutsche, alla luce dei crescenti costi di finanziamento e del deterioramento del rating. L’astuto 62enne Achleitner, che ha iniziato la sua carriera in Bain e siede nei cda di Daimler e di Bayer, è diventato una figura chiave di Deutsche: conosce bene Kukies, proveniendo entrambi da Harvard ed avendo gestito tutti e due le operazioni di Goldman Sachs in Germania e in Austria all’inizio della loro carriera.
In qualità di dirigente di Allianz, Achleitner ha supervisionato l’acquisto di 24 miliardi di euro della Dresdner Bank in Germania nel 2001. Non proprio un affare, visto che nel giro di sette anni la statunitense Dresdner ha perso metà del suo valore e il governo è stato costretto a negoziare un accordo per venderla a Commerzbank. Si dice poi che Achleitner creda che Deutsche sia ben posizionata per assumere il ruolo di campione bancario europeo in quanto gli investitori e le grandi aziende del Vecchio Continente sono diffidenti nei confronti dell’egemonia del mercato dei capitali statunitensi, anche alla luce del crescente nazionalismo economico dell’amministrazione Trump.
“È come riparare un aereo in volo”
“Esiste una vera domanda di servizi che non sono americani – sostiene una persona vicina ad Achleitner – l’interesse nazionale americano potrebbe non coincidere con quello europeo. Per essere un’alternativa agli Usa, devi solo essere il migliore di loro”. Un’altra convinzione di Achleitner è che l’acquisizione di una base più ampia di depositi al dettaglio potrebbe ridurre e stabilizzare i costi di finanziamento di Deutsche, molto cresciuti nell’ultimo anno. Eppure sono in molti, sia nelle banche che tra gli investitori, a mettere in dubbio gli argomenti del presidente. “Economicamente, la fusione ha senso e sarebbe un regalo per i nostri concorrenti”, afferma un dirigente di Deutsche che chiede di non essere nominato., “quelli di Commerzbank non la vogliono. Ma ti dico chi vorrebbe la fusione: JPMorgan e BNP Paribas, perché passeremmo anni a distrarci con questa operazione”. Anche Sewing si è lamentato coi colleghi, sostenendo che la speculazione sulle fusioni ha messo in ombra il fatto che la banca ha realizzato i suoi obiettivi sui costi, sui tagli del personale e sui ritorni di capitale lo scorso anno.
Molti dei principali azionisti della banca, contattati dal Ft, sostengono che il problema principale di Deutsche è che non ha un core business abbastanza redditizio per consentirle di rilanciare la sua tentacolare banca di investimento. Un dirigente di un istituto rivale paragona la ristrutturazione delle due grandi banche alla riparazione di un jumbo jet a metà volo. Finché tre dei quattro motori sono ancora in funzione, l’aereo rimane in alto. “Il problema è che Deutsche ha un solo motore”, sostiene.
Commerzbank preferirebbe una sposa straniera
Le rivali di Deutsche, le banche svizzere Ubs e Credit Suisse hanno attività di gestione patrimoniale per miliardi di franchi. Barclays è supportata da unità di vendita al dettaglio e carte di credito affidabili e redditizie. Al contrario, Deutsche e Commerzbank operano su un mercato interno fieramente competitivo e strutturalmente non redditizio, dominato da centinaia di Sparkassen, le casse di risparmio municipali, e da istituti di credito cooperativi regionali che non hanno l’obbligo di massimizzare i profitti. A febbraio, l’amministratore delegato di Commerzbank, Martin Zielke, ha gettato la spugna su quasi tutti i suoi obiettivi di redditività per il 2020, accusando i tassi di interesse anemici e la concorrenza locale. Tuttavia la la sua posizione di leader nel mercato fa di Commerzbank un obiettivo potenzialmente attraente per un compratore estero.
Zielke preferirebbe una fusione interna ad un’acquisizione esterna “perché pensa che avrebbe un maggiore controllo in tale scenario”, sostiene un alto dirigente tedesco. Il governo detiene ancora una quota del 15% in Commerzbank dopo il salvataggio del 2009. Molti osservatori sostengono che sarebbe preferibile un’acquisizione dall’estero di una o dell’altra banca perché ci sarebbero meno sovrapposizioni e minori perdite di posti di lavoro. Ma finora pochi pretendenti sono emersi. “Acquistare i problemi dei tedeschi sarebbe assolutamente folle”, afferma il presidente di una banca che è stata collegata a Deutsche.
“Tutte le fusioni devono essere eseguite in modo brutale; ‘Sinergia’ è solo un’altra parola per ridurre drasticamente i costi”. Achleitner avrebbe chiesto garanzie per ristrutturare senza interferenze, sostenendo che il basso tasso di disoccupazione e la rete di sicurezza sociale della Germania le consentirebbe di far fronte alla perdita di posti di lavoro. Tuttavia non è affatto sicuro che riuscirà ad ottenere una simile garanzia.
Cerberus, il fondo di private equity americano, è uno dei maggiori azionisti di entrambe le banche. Secondo fonti bancarie la società Usa sarebbe d’accordo con la fusione. Tuttavia, Cerberus ha pochi alleati. Altri cinque dei principali 10 azionisti di Deutsche hanno dichiarato al Financial Times che sono molto scettici nei confronti di una fusione, o che sono fermamente contrari. Anche Verdi, l’unione del settore dei servizi della Germania, è contro la fusione. “Non appoggiamo questo scenario perché siamo preoccupati di un’altra grande perdita di posti di lavoro”, afferma Jan Duscheck, membro del consiglio di sorveglianza di Deutsche. Gli analisti sono scettici. Kian Abouhossein di JPMorgan stima che un tie-up potrebbe generare sinergie da 2 miliardi di euro in cinque anni, ma anche 4 miliardi di costi d’integrazione. Insomma, la partita della fusione resta aperta e niente affatto scontata.
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