“Siamo sicuramente in un momento storico in cui stiamo vivendo una pandemia che miete molte vittime. La società sta cercando di salvare ogni singola vita possibile, tutti noi ci stiamo impegnando affinché ogni vita possa essere salvata e possa essere strappata da questa pandemia. Nel frattempo ci sono alcune realtà politiche che stanno cercando di imporre in Italia una paradossale priorità, che è quella dell’eutanasia”. Lo ha detto il vice presidente di Pro Vita & Famiglia onlus, Jacopo Coghe, aprendo i lavori del webinar dal titolo ‘Eutanasia e suicidio assistito: alleviare o sopprimere? Restiamo umani!’.
Coghe ha proseguito: “Mi faceva riflettere un editoriale di qualche settimana fa del direttore de ‘La verità’, Belpietro, che analizzava il paradosso che proprio mentre si cerca di salvare vite, e c’erano file ai gazebo per fare il vaccino anti Covid, accanto c’erano altre file per firmare il referendum per l’eutanasia. Come se ci fossero due contrapposizioni: mentre si cerca di salvare la vita, c’è qualcuno che chiede il cosiddetto diritto a morire”.
Ricordando che pochi giorni fa in Nuova Zelanda è stata approvata l’eutanasia, il vice presidente di Pro Vita & Famiglia onlus ha spiegato che “in Italia, nel silenzio più totale, perché nessuno ne parla, si sta portando avanti un disegno di legge alla Camera dei Deputati sul suicidio assistito e qualche settimana fa i Radicali e l”Associazione Luca Coscioni hanno consegnato le firme per il referendum sull’eutanasia”. Nel corso del proprio intervento, Coghe ha poi affermato che “l’eutanasia è sicuramente un tema sensibile, perché la sofferenza fa paura a tutti. Talvolta c’è la tentazione di considerare la morte anche come l’unica soluzione in determinate circostanze o, almeno, come la soluzione preferibile. Tuttavia noi crediamo che l’eutanasia sia sia solamente una soluzione apparente e, come associazione, come Pro Vita onlus richiediamo, ci battiamo per questo, perchè è una risposta irricevibile, sia per ragioni etiche, sia per ragioni di conseguenze incalcolabili che potrebbe avere sul tessuto sociale e sul ruolo della medicina nella cura dei sofferenti”.
L’esponente di Pro Vita & Famiglia onlus ha poi aggiunto che “proprio per questo, nelle ultime settimane, abbiamo lanciato una campagna di affissione su Roma e nelle principali città, dove ponevamo una domanda, con un’affermazione contenente una domanda implicita. Forse dovremmo pensare ad eliminare la sofferenza e sforzarci per eliminare la sofferenza e non eliminare la persona sofferente”.
Coghe ha infine sottolineato che “abbiamo lanciato anche per questo una petizione sul sito www.noeutanasialegale.it, proprio per far sentire la nostra voce. Una volta arrivati a 50mila, 100mila firme consegneremo la petizione ai politici che stanno trattando questi temi. Abbiamo poi fornito a tutti i parlamentari un piccolo libricino per informarli su quelli che sono i rischi, secondo noi, di questa proposta di legge”, ha concluso.
“Anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto che la vita è il primo e più importante dei diritti e la precondizione per il godimento di tutte le altre posizioni giuridiche e soggettive”. Così il vice presidente del Centro studi Livatino e professore ordinario di Diritto Costituzionale, Filippo Vari.
Citando una sentenza scritta nel 1997 dal giurista ed eroe della Resistenza, Giuliano Vassalli, Filippo Vari ha ricordato che “a quel tempo i Radicali volevano liberalizzare l’aborto. La sentenza riporta che ‘il diritto alla vita costituisce uno dei principi supremi su cui si fonda la Costituzione italiana, che non può essere sovvertito o modificato nel suo contenuto essenziale, neppure seguendo il procedimento previsto per modificare la Costituzione’. Queste sono le affermazioni di principio, anche molto belle, che non ci possono che trovare completamente in linea: la vita come primo fondamento di tutti gli altri diritti”.
Vari ha aggiunto che “poi, però, la Corte Costituzionale non è stata consequenziale. Tutti conosciamo il caso ‘Dj Fabo-Marco Cappato’, dove sostanzialmente la Corte ha detto che non è punibile colui che aiuta una persona con determinate caratteristiche a portare a termine la propria vita. Quando si tratti di una persona che ha una malattia che non è reversibile ed è fonte di sofferenze per lui intollerabili, non è punibile chi l’aiuta a porre fine alla propria vita”.
Il vice presidente del Centro studi Livatino ha precisato che “la Corte, però, nel 2018, quando si è interessata per la prima volta alla questione, aveva invitato il Legislatore a disciplinare la materia. Il Legislatore non l’ha fatto e la Corte ha poi stabilito ciò di cui abbiamo appena parlato”, e ha proseguito informando che “da qui parte il Testo Unificato oggi all’esame della Camera di Deputati. Nel periodo che la Corte aveva dato al Parlamento per pronunciarsi sulla questione, vengono presentate numerose proposte di legge, alcune delle quali eutanasiche. Quindi, non solo suicidio assistito ma anche eutanasia completa”.
Vari ha inoltre sottolineato che “il suicidio assistito è una forma di eutanasia, è l’aiuto alla persona che decide di porre autonomamente fine alla propria vita. L’eutanasia, invece, non è solo aiutare una persona a togliersi la vita ma consiste proprio nel togliere la vita ad una persona. Tanto è vero che il codice penale punisce diversamente le due fattispecie, l’assistenza al suicidio e l’omicidio del consenziente”.
Vari ha inoltre reso noto che “questa proposta eutanasia è ora riunita in un Testo Unificato, il cui primo firmatario è l’onorevole Bazzoli, che sostanzialmente prevede la cosiddetta ‘morte medicalmente assistita’, cioè quando la persona è in uno stato di malattia irreversibile può ottenere dal servizio sanitario nazionale la propria morte”. “Ci sono tanti profili- ha detto- per cui questo progetto di legge è a mio avviso sbagliato e incompatibile con il diritto alla vita. Anche se si perfezionassero questi aspetti e se si definisse in maniera più chiara e meno vaga il significato di malattia irreversibile, in realtà questo testo, come tutte le proposte eutanasiche, solleva gravi dubbi di compatibilità con il diritto alla vita, quel diritto alla vita che la Corte Costituzionale ci dice essere uno dei principi supremi del nostro ordinamento costituzionale”. “Il diritto alla vita, come tutti i diritti inviolabili, non è rinunciabile. Questo vuol dire- ha proseguito- che io non posso fare un contratto o un atto giuridico con cui rinuncio al godimento di quel mio diritto. Non posso fare un contratto con cui mi sottopongo a schiavitù, non posso ottenere protezione giuridica per un contratto che lede la mia dignità. Faccio un altro esempio: io non posso liberamente donare un organo che è essenziale per la mia vita. Cioè, se mio figlio sta morendo e il mio cuore può salvarlo perché ha bisogno di un trapianto di cuore, io non posso giuridicamente realizzare questo mio desiderio, cioè non posso ottenere che nessun medico al servizio pubblico e nel privato mi espianti il cuore e lo trapianti a mio figlio. Ma non posso nemmeno rinunciare alle ferie. C’è, dunque, tutta una serie di diritti inviolabili che, come tali, non possono essere oggetto di rinuncia. Qui, invece, la persona che pone fine alla propria vita rinuncia al diritto alla vita e questo è il primo motivo per il quale l’eutanasia contrasta con il diritto alla vita”.
Il professore ordinario di Diritto Costituzionale ha infine ricordato che “lo Stato moderno nasce per garantire la vita, la libertà e, secondo alcuni, la proprietà delle persone. Lo Stato moderno non può tollerare che ci sia, anche sulla richiesta dello stesso titolare del bene, un terzo che è legittimato a togliergli la vita, perché così viene meno ad una delle sue funzioni essenziali che è invece quella di garantire la vita dei consociati”, ha concluso.
“È una questione di orgoglio nazionale quella di riconoscere che l’Italia è probabilmente la migliore Nazione nella quale sia stata scritta una legge di cure palliative e di terapia analgesica contro il dolore già dal 2010: la Legge 38 è davvero una legge scritta benissimo. Purtroppo non si può dire altrettanto dal punto di vista del finanziamento e della diffusione. È una legge che nella struttura teorica è ottima ma nell’applicazione pratica mancano i finanziamenti e le strutture che potrebbero applicare una legge di questo tipo”. Lo ha detto il presidente dell’Associazione ‘Family Day’ e professore in Neurochirurgia, Massimo Gandolfini, in occasione del webinar.
Nel corso del proprio intervento, Gandolfini ha denunciato che “nel disegno di legge Bazzoli non si parla minimamente di obbligatorietà ma, oserei dire, neanche di esortazione positiva a seguire un percorso di medicina palliativa e si passa, invece, direttamente alla somministrazione della morte. Questo è uno degli aspetti, non è certo purtroppo l’unico, che rende questo disegno di legge ampiamente inaccettabile”.
Il presidente dell’Associazione ‘Family Day’ ha tenuto a precisare che “oggi abbiamo tutti gli strumenti necessari per bloccare in particolare il dolore ma anche per limitare notevolmente i disturbi di quelli che vengono chiamati ‘sintomi incoercibili’. Ci sono sintomi che possono essere anche molto più disturbanti e devastanti del dolore. Per chi, ad esempio, pratica le rianimazioni, gli ambiti neurologici avanzati, le neurochirurgie e le oncologie, uno di questi sintomi è il singhiozzo. Siamo in presenza di una persona che 24 ore su 24 e per giorni e giorni non è praticamente in grado di svolgere una vita normale perché ha un continuo singhiozzo che non gli consente di mangiare, di deglutire e di avere una vita di relazione. Ecco, anche nei confronti di questi sintomi esistono terapie che attenuano e, in alcuni casi, risolvono completamente, il sintomo e, contemporaneamente, salvaguardano la salute e la vita della persona”.
Gandolfini ha poi aggiunto che “va dunque detto con assoluta chiarezza che se la spinta a chiedere un intervento eutanasico è legato alla sofferenza fisica, al dolore fisico, questo può essere sicuramente affrontato e brillantemente risolto. Esiste inoltre la cosiddetta sofferenza dello spirito, perchè non c’è soltanto la sofferenza del corpo. È chiaro che la sofferenza dello spirito è un problema molto grande ma a maggior ragione si deve invocare la medicina palliativa, che riguarda il dolore fisico, il dolore esistenziale e la sofferenza spirituale, non solo del paziente ma anche dei suoi parenti, dei suoi familiari e dei suoi caregivers”.
Gandolfini ha poi spiegato che “la medicina nasce per la salute e per salvaguardare la vita, non nasce per uccidere i pazienti. Da medico del XXI secolo, che ha studiato 16 anni, mi sembra una follia totale prendere un alto dosaggio di barbiturico, iniettarlo nella vena del paziente e ucciderlo. Ecco perché questa è una legge inaccettabile proprio nelle basi ontologiche”. Gandolfini si è poi soffermato su un altro tema, informando che “in medicina viene considerata come condizione reversibile, ed è universalmente riconosciuta, la morte cerebrale. La morte cerebrale ha standard anche legali che sono stati stabiliti ed è l’unica condizione che viene considerata oggi come condizione di irreversibilità. Alla dichiarazione di morte cerebrale consegue anche la possibilità dell’espianto di organi per il trapianto. Questa è l’unica condizione considerata oggi irreversibile. Tutte le altre, come ad esempio lo stato vegetativo persistente, sono condizioni che non possono oggi essere dichiarate irreversibili al 100%”.
Il presidente dell’associazione ‘Family Day’ ha infine fatto notare “l’assurdità di questa legge, che pone sullo stesso piano la condizione irreversibile e la malattia con prognosi infausta, che, invece, non sono assolutamente la stessa cosa. Una malattia irreversibile non necessariamente è una malattia che ha, a
tempi brevi, una prognosi infausta. Ad esempio, quarant’anni fa avere una diagnosi di Leucemia mieloide cronica significava la morte, anche in breve tempo. Oggi un paziente a cui viene diagnosticata una Leucemia mieloide cronica ha una malattia da prognosi infausta ma la morte avverrà, magari, fra 15, 20 o 25 anni, perché non c’è uguaglianza fra irreversibilità e prognosi infausta. Un altro esempio, ancora più eclatante: il diabete è una malattia irreversibile. Questo significa che un paziente diabetico può chiedere l’Eutanasia soltanto perché affetto da una patologia irreversibile? Ritengo che tutto questo sia assurdo”, ha concluso.
“Dal 2003 a 2008 sono stata sposata con un ragazzo morto a 33 anni dopo una grave forma di meningioma recidivo. Il meningioma è un tumore cerebrale di per sé benigno. Conosco anche varie persone che con questa malattia hanno convissuto o ne sono guarite. Mio marito Luigi si è invece ammalato a 22 anni ed è morto a 33 dopo aver fatto ben 12 interventi al cervello”. Lo ha raccontato la scrittrice Susanna Bo durante il webinar dal titolo ‘Eutanasia e suicidio assistito: alleviare o sopprimere? Restiamo umani!’.
Susanna Bo, che ha descritto la propria storia nel libro ‘La buona battaglia – Le grandi acque non possono spegnere l’amore’, ha affermato di non sapere “perchè le persone arrivino a chiedere l’eutanasia. È una domanda alla quale non so rispondere perché troppo personale. Posso però dire cosa mi disse mio marito quando, dopo due mesi di matrimonio, gli venne diagnosticato un ennesimo disastro all’interno del cervello. Non il solito meningioma, che si sarebbe anche potuto togliere, ma una grossa emorragia causata da quella che i dottori pensavano fosse un tumore veramente devastante”.
Susanna Bo ha aggiunto: “Ricordo benissimo che per Luigi sarebbe stata la sesta operazione al cervello e che, dopo due mesi di matrimonio, mi disse che era intenzionato a buttarsi dalla finestra. Per dissuaderlo gli risposi nel modo più insensato possibile, spiegandogli che aveva tutto il diritto di compiere quel gesto ma che, in questo modo, non sarebbe mai diventato padre. Essendo una persona di grande fede, decise di non buttarsi dalla finestra e di sottoporsi a quella sesta operazione, da cui venne fuori che si trattava di un semplice ematoma, non c’era alcun tumore. La conseguenza è che tre mesi dopo restai incinta della nostra prima figlia e un anno e mezzo dopo della seconda”.
La scrittrice ha poi proseguito spiegando che “eravamo consapevoli del fatto che mio marito non avrebbe visto crescere le nostre figlie e così è stato. Le ha dovute lasciare a due anni e mezzo e quattro anni, dopo 12 interventi al cervello. Penso però che se mio marito, invece dell’opzione ‘mi butto dalla finestra’ avesse avuto un’opzione molto più pulita e semplice del ‘mi faccio siringare qualcosa’, oggi non sarebbero al mondo due esseri umani di 17 e 16 anni. Questa non è materia di fede, è materia di vita umana”. “Credo- ha infine affermato Susanna Bo- che la gente prenda in considerazione l’eutanasia perché nella nostra società l’importante è il ‘qui e ora’, senza un minimo di prospettiva. Se la nostra generazione è quella accusata di aver ha permesso l’eutanasia, credo che usciremo sconfitti da questa battaglia”, ha concluso.
FONTE: AGENZIA DIRE