“Devo preoccuparmi?”. “E ora cosa devo fare?”. “Ce la farò?”. Sono queste alcune delle domande più comuni che le persone rivolgono agli oncologi quando temono o scoprono di avere un cancro. Alberto Sobrero, primario di Oncologia Medica e direttore del Dipartimento Onco-ematologico dell’ospedale San Martino di Genova, ha raccolto le risposte nel volume “Cancro, capire la malattia per affrontarla meglio”, edito da ACCMED, con l’intento di aiutare i pazienti a comprendere cosa sta accadendo.
Il libro, scritto per i pazienti, i loro parenti ed amici, è stato sviluppato in base a quattro scenari. Il primo è quello in cui si sospetta di essere malati. Le domande sono tante, ma la più comune è: “Ho questo sintomo, devo preoccuparmi?”. “Vai dal medico”, la risposta in sintesi. “Il nostro compito è capire se esiste un problema, se è possibile rassicurare il paziente o è necessario procedere ad accertamenti”, spiega Sobrero, che nel 2016 ha vinto l’Esmo Award, il riconoscimento che l’European Society for Medical Oncology conferisce a chi contribuisce in modo significativo allo sviluppo dell’oncologia medica.
Il secondo scenario è quello in cui arriva la diagnosi. “E adesso cosa devo fare?”, è la domanda più comune tra i pazienti.
“Valuta con l’oncologo la gravità della malattia e le possibili opzioni” è, in sintesi, il consiglio di Sobrero.
Il terzo scenario riguarda il caso in cui il percorso terapeutico funzioni e porti a una regressione della malattia: i pazienti in tal caso si chiedono soprattutto “Posso dirmi guarito?”. La risposta non è però semplice, perché se è vero che la letteratura scientifica mette a disposizione dei dati, “la realtà è diversa per ogni tumore”, precisa l’oncologo.
Il quarto scenario è quello in cui il tumore torna e c’è una ricaduta. “Ce la farò?”, è la principale domanda che il paziente pone all’oncologo. “Fino a poco tempo fa – spiega Sobrero – la risposta scientificamente corretta era ‘no’, ma grazie agli avanzamenti strepitosi della medicina oggi per molte patologie la sopravvivenza a 3, 5 o 7 anni è una realtà per il 20-50% dei pazienti”.
Fonte Ansa.it