Lo sostengono, con sfumature diverse, gli economisti Luigi Zingales e Alberto Bagnai. Occorre distinguere i provvedimenti economici dalla politica, lo spread non può salire ancora e i mercati “fanno politica” temendo che si sfasci l’Europa
In Italia il futuro economico e dei conti pubblici “non si gioca fra l’1,8%, il 2 o il 2,4% di deficit rispetto al Pil, ma sulla capacità di far ripartire l’Italia, che non cresce da 20 anni”. A dirlo l’economista Luigi Zingales, parlando all’Npl meeting di Banca Ifis. Le misure ventilate dal governo, ha aggiunto, “mi sembrano però andare più verso la redistribuzione che verso la crescita”. “In Italia abbiamo la tendenza a identificare totem che poi diventano questioni più politiche che economiche e questo vale ora per il deficit al 2,4% come è valso in passato per il Jobs Act”, ha concluso l’economista.
“L’Europa ha un fronte molto difficile, che è quello della Brexit. Se vuole aprire un fronte sull’Italia si accomodi pure. Ci fu un altro tedesco che aprì più fronti e non gli andò troppo bene”. L’allusione e’ di Alberto Bagnai, intervistato da ‘Radio anch’io’. “Forse ci sarà un po’ di nervosismo” sui mercati “ma è comprensibile. Il Financial Times ci definì dei ‘barbari’ – prosegue il presidente leghista della commissione Finanze al Senato -. Forse ci sarà un aumento di 10, 20, 50 punti di spread, può anche darsi, ma secondo me i mercati hanno già scontato questo tipo di evento. Nessuno credeva all’1,6 per cento. Quello che preoccupa i mercati è il rischio politico. I mercati davvero temono che si sfasci l’Europa”.