Sono molteplici i motivi per cui il Foia – ossia l’accesso civico generalizzato ai dati della pa – sembra non aver funzionato. Motivi che vanno dalla privacy alla frammentazione legislativa, e in particolare la mancata tutela della privacy per chi chiede l’accesso agli atti, l’eccessiva frammentazione legislativa, il numero consistente delle autorità che intervengono sulla materia, la scarsa conoscenza dello strumento da parte dei cittadini e degli uffici (per gli esperti ci vuole almeno un quinquennio per assimilarlo sul piano civico), l’assenza di un registro delle richieste agli atti.
E poi ancora, la scarsità delle risorse lamentate dagli uffici e in alcuni casi perfino l’abuso dello strumento da parte di una sorta di “stalker istituzionali“. Gli aspetti critici della normativa sono emersi nel corso di “FOIA: che cosa non ha funzionato”, convegno tenutosi al Dipartimento della Funzione Pubblica, che rientra nella serie di iniziative della Settimana dell’Amministrazione Aperta. Al centro dell’incontro i problemi di attuazione del Freedom of Information Act, normativa introdotta due anni fa con il decreto legislativo n. 97 del 2016, che nelle intenzioni del legislatore aveva l’obiettivo di garantire l’accesso civico generalizzato ai dati e ai documenti posseduti dalle Pubbliche Amministrazioni.
Obiettivo dell’appuntamento “raccogliere – ha spiegato Elio Gullo, Direttore Generale Ufficio per l’Innovazione e la Digitalizzazione del Dipartimento della Funzione Pubblica – spunti possibilmente negativi. Le best practice sono belle da raccontare ai convegni ma difficilmente replicabili”.
Per Gullo i “casi di mala applicazione” permettono di “provare a capire cosa non ha funzionato”, tutti elementi che saranno parte di “una seconda circolare sul FOIA che stiamo per rilasciare”. Per Mario Savino, Professore di Diritto Amministrativo e membro della task force sull’attuazione del FOIA istituita presso il Dipartimento, tra le difficoltà di attuazione emerse c’è “la stratificazione di diverse discipline dell’accesso: in Italia si è proceduto con un percorso di mera addizione”.
Savino ha parlato anche di una “governance frammentaria. In ordinamenti diversi da quello italiano c’è un’unica autorità che riunisce i compiti di promozione della trasparenza, di attuazione del FOIA e di garanzia dei dati personali. Una frammentazione che si ripercuote sulla uniformità delle indicazioni che vengono fornite, con la difficoltà ai armonizzare le prassi legate ad ogni Autorità”.
E anche sulla giurisdizione. “Nel Regno Unito 12 giudici sindacano le decisioni sul FOIA, da noi ci sono tutti i TAR competenti”. A mettere in evidenza le difficoltà di applicazione del FOIA sono state anche le testimonianze di associazioni presenti nei territori.
Rosy Battaglia, giornalista e presidente di Cittadini Reattivi ha parlato nel dettaglio di un “grave problema di privacy per chi richiede un certo tipo ai atti. è capitato a più di un collega che i dati privati del richiedente siano arrivati alla controparte”. Battaglia fa riferimento a inchieste giornalistiche su infiltrazioni mafiose nella PA e non solo. “Ebbene, questo crea qualche problema. Al punto che in alcuni casi abbiamo deciso di non esporci”.
Per Battaglia “in alcuni casi le richieste personali di FOIA” sono sfociate in episodi di “vessazione. A queste persone ho consigliato di non fare più richieste personali ma di rivolgersi ad associazioni riconosciute. Se si toccano certe situazioni, il cittadino e il giornalista non sono tutelati”. Un passaggio a cui Ernesto Belisario, avvocato esperto di digitale e tra i principali promotori del FOIA in Italia, ha replicato così: “La privacy è probabilmente un retaggio della legge 241, in cui l’invio all’interessato dell’istanza di accesso veniva fatto inviando il documento integrale”.
“Lì forse – ha spiegato – poteva avere un senso. Nel caso del FOIA nessun valore aggiunto dà sapere al controinteressato quale sia il soggetto che ha fatto l’istanza. Quindi una corretta applicazione dei criteri di minimizzazione del trattamento potrebbe prevedere l’oscuramento dei dati del richiedente. La necessità poi di accentrare le richieste su un unico soggetto per evitare discriminazioni – ha aggiunto – mi sembra una limitazione del diritto”.
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