Il mondo della ricerca lancia un appello, chiedendo una moratoria globale e un accordo internazionale che dia lo stop a tutte le sperimentazioni cliniche che implicano il taglia-incolla del Dna negli embrioni umani e nei gameti, ossia ovuli e spermatozoi, le cui mutazioni possono essere ereditate. Tra i firmatari dell’appello, pubblicato sulla rivista Nature, 18 ricercatori di 7 Paesi, c’è il direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), Luigi Naldini, insieme a una delle ideatrici della Crispr, Emmanuelle Charpentier, e uno dei pionieri della biologia sintetica, Paul Berg.
“Il motivo principale alla base di questa forte presa di posizione è il fallimento di tutti i precedenti appelli”, dichiara all’ANSA Luigi Naldini. “Il controverso caso delle due gemelle cinesi, modificate allo stato embrionale per renderle resistenti al virus Hiv, ha sorpreso tutti ed è stato un tentativo avventato, rischioso e molto prematuro. Non vogliamo che altri esperimenti simili – prosegue – compromettano la ricerca scientifica e la terapia genica attuale per malattie gravi, che rappresentano una grande promessa della medicina del futuro”.
“Pensiamo alla possibilità di conferire all’uomo delle nuove capacità che non avrebbe naturalmente: dove sta il confine tra curare una persona e creare improbabili ‘super-uomini’? Come decidere fin dove è lecito spingersi?”, dice ancora il ricercatore italiano. “C’è bisogno di fare un passo indietro con umiltà, come dimostrano gli altri importanti firmatari: dobbiamo lasciare il tempo alla tecnologia di evolversi – conclude – e all’opinione pubblica di riflettere. Si tratta di una decisione troppo importante, che non riguarda solo la scienza ma coinvolge tutta l’umanità”.
“In Italia non potrebbe mai avvenire una cosa simile a quella accaduta in Cina”, aggiunge Naldini, “qui siamo tutelati fino all’estremo, anche troppo. La nostra speranza ora, che ritengo realistica, è che in molti aderiscano al nostro appello – prosegue – in modo da creare un sistema internazionale che possa esercitare pressione anche su quei Paesi o istituzioni che non vogliono aderire. Il National Institute of Health (Nih) statunitense ha già aggiunto la sua firma, sottolinenando una posizione già presa”.