Con oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni –
dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio
di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro – la spettacolare
mostra Andy Warhol. La pubblicità della forma è promossa e prodotta da
Comune di Milano–Cultura e Navigare, curata da Achille Bonito Oliva con
Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW e Hublot.
Aperta dal 22 ottobre 2022 sino al 26 marzo 2023 a Milano alla Fabbrica del
Vapore, è un viaggio nell’universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno
maggiormente innovato la storia dell’arte mondiale.
“Ad oltre settant’anni di distanza dalla realizzazione dei primi pezzi che aprono
l’esposizione – dichiara Tommaso Sacchi Assessore alla Cultura del Comune di
Milano – le opere di Warhol incontrano tuttora il gusto e il favore del pubblico,
dimostrandosi spesso attuali e capaci di trasmettere messaggi visivi immediati
riguardo alla società odierna. Quelle di Warhol sono icone che hanno saputo e sanno
ancora abitare a tutto tondo la contemporaneità, uscendo dal perimetro tracciato dai
luoghi istituzionali della cultura e lasciando tracce profonde in diversi ambiti quali
quello della moda, della musica e della pubblicità”.
“Warhol – afferma Bonito Oliva – è il Raffaello della società di massa americana
che dà superficie ad ogni profondità dell’immagine rendendola in tal modo
immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro
vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un’inedita classicità nella sua trasformazione
estetica. Così la pubblicità della forma crea l’epifania, cioè l’apparizione,
dell’immagine”.
Dopo il successo della Mostra di Roma nel 2018 al Complesso del
Vittoriano, Eugenio Falcioni, esperto di rilievo di Andy Warhol, collezionista e
prestatore nella sua veste di responsabile di Art Motors omaggia la sua città
adottiva Milano producendo una esposizione con più di 300 opere, per la maggior
opere uniche. Molte provenienti dall’Estate Andy Warhol, due di Keith Haring e di altre
prestigiose collezioni private. “Dai disegni degli anni 50 alle icone Liz, Jackie, Marilyn,
Mao, Flowers, Mick Jagger ai ritratti ed ai suoi progetti personali come il fashion –
dichiara Falcioni – sono presenti tele, carte, sete, latte con le famose ed uniche
Polaroid, per arrivare agli acetati unici che fanno parte della seconda fase del suo
lavoro altrettanto importante”.
Andrew Warhola, classe 1928, originario di Pittsburgh, dopo la laurea nel 1949 si
trasferisce a New York, trasforma il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei
primi anni ’60 è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New
Yorker, Vogue e Glamour. L’intuizione che lo renderà celebre e ricco è quella di
ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella
mente del pubblico. Thirty Are Better Than One, la sua prima Monna Lisa ripetuta ben
trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d’arte, viene trasformata in una opera di
tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. In Green Coca-Cola
Bottles – scrive Falcioni nel suo testo per il catalogo – comprendiamo
immediatamente che per l’artista è proprio la quantità a prevalere sull’originalità del
soggetto raffigurato: è infatti ripetendo la stessa immagine che egli riesce a portare e
mettere in scena il panorama consumistico nel mondo dell’arte: compito dell’artista
non è più creare, ma riprodurre”.
Per far questo Warhol adotta una speciale tecnica di serializzazione, con
l’ausilio di un impianto serigrafico, che facilita la realizzazione delle opere e riduce
notevolmente i tempi di produzione. Su grosse tele riproduce moltissime volte la
stessa immagine alterandone i colori: usando immagini pubblicitarie di grandi marchi
commerciali o immagini di impatto come incidenti stradali o sedie elettrice, riesce a
svuotarle del significato originario. L’arte deve essere “consumata” come qualsiasi
altro prodotto.
La tecnica della serigrafia viene usata da Warhol già nel 1962 per realizzare la
serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche
dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s, esposte nello
stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles.
Lo stesso fa con i ritratti delle celebrità dell’epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong,
Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon
Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito,
Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l’imperatrice iraniana Farah
Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer.
Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventa un imperativo a conferma del
proprio status sociale. Emblematica la Gold Marilyn Monroe, conservata al MoMA di
New York: una delle donne più affascinanti della storia moderna americana viene qui
rappresentata su uno sfondo oro, esattamente come si trattasse di una tavola del
Trecento raffigurante la Madonna.
La critica all’inizio stronca questi lavori, non comprendendone l’originalità né la
volontà di Warhol di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza del prodotto,
in linea con la filosofia consumistica dell’epoca. La sua opera viene vista come un
oltraggio all’Espressionismo Astratto, movimento artistico allora dominante negli USA.
Lo stesso celebre gallerista Leo Castelli all’inizio non comprende la genialità innovativa
del lavoro di Warhol e cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua
scuderia. In realtà aderendo alla cultura di massa e portandola nel mondo concettuale
dell’arte figurativa, Warhol ha esaltato la patria del consumismo e tutto quanto gli
Stati Uniti hanno simboleggiato dal dopo guerra sino agli anni ’80.
“Il vero colpo di genio attraverso cui l’artista riuscì a valorizzare definitivamente gli
anni ’60 e le nuove forme di comunicazione di massa – leggiamo ancora nel testo di
Falcioni – furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di
pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati. Queste vennero realizzate da
una falegnameria e i bordi vennero serigrafati da Warhol e i suoi assistenti come le
etichette originali. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto,
celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia
dell’arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: “che cos’è l’arte?”. Questo
interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere
d’arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un
determinato contesto storico, in questo caso gli anni ‘60 assieme alle sue innumerevoli
novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete.
L’evento che rese queste opere tra le più celebri dell’intera storia dell’arte fu la
personale dell’artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste
sculture furono disposte all’interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra
all’altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria
d’arte”.
E’ visitando questa mostra che Leo Castelli si ricrede e comprende l’attualità
dell’operazione di Warhol, arruolando nella sua scuderia.
Da questo momento la carriera di Warhol ha una vera e propria deflagrazione.
Nasce la celebre The Factory, originariamente al 231 East 47th Street, dove
innumerevoli assistenti creano a ritmo frenetico le sue opere in serie: quadri, film,
cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. E dove Warhol accoglie
attori, musicisti, scrittori, tutto il mondo creativo newyorchese, creando i primi film
come i The Velvet Uderground & Nico, per cui realizza anche la copertina del celebre
LP. Qui sono realizzati molti altri film che mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo,
sorta di quadri proiettati su una parete bianca e gli Screen Test, ritratti filmati di
personaggi in visita alla Factory, ripresi, allo scopo di entrare nella loro intimità, con
una camera fissa senza muoversi per tre minuti su un fondo nero. Alcuni di questi film
dedicati alla cultura gay newyorkese, di cui Warhol faceva parte, sono stati censurati,
distribuiti col passaparola e proiettati trent’anni dopo la data di realizzazione in
occasione di mostre organizzate in vari musei del mondo. Nella Factory viene
realizzato inoltre il magazine Interview con in copertina, per ciascun numero, il
personaggio del momento. E sono prodotte altre celebri copertine per Time e Playboy.
Molte altre Factory seguiranno in diverse parti della città, laboratori dei tantissimi
progetti ideati senza sosta dal poliedrico artista.
Nel frattempo è nata una nuova generazione di artisti come Basquiat, Haring,
Scharf che considerano Warhol il loro padre spirituale: accogliendoli nella sua cerchia
Warhol ne assorbisce dinamismo e creatività. Riesce così a rinnovarsi nuovamente,
ideando le ultime sperimentazioni iconiche come il celeberrimo Dollar Sign, emblema
del rampantismo economico di quegli anni, abbandonando l’uso della serigrafia e
dedicandosi, reinterpretando in chiave pop alcuni riferimenti artistici del passato, alla
pittura pura.
La mostra milanese vuole documentare questo avvincente percorso: dagli oggetti
simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni ’60; dalla
serie Ladies & Gentlemen degli anni ’70 dedicata alle drag queen, i travestiti, simbolo
di emarginazione per eccellenza e considerati alla pari di star come Marilyn, sino agli
anni ’80 in cui diviene predominante il rapporto col sacro: cattolico praticante, ne era
stato in realtà pervaso per tutta la vita.
Esposte quasi tutte opere uniche come tele, serigrafie su seta, cotone e
carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer
Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali – i primi NFT della
storia – , la BMW Art Car dipinta da Warhol con il video in cui la realizzò, la
ricostruzione fedele della prima Factory e una parte multimediale con
proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali.
Andy Warhol muore nel 1987 per una infezione alla cistifellea. Le sue icone, i suoi
personaggi, i suoi soggetti sono riprodotti ovunque, in tutto il mondo, su vestiti,
matite, posters, piatti, zaini. Ha anticipato i social network e la globalizzazione degli
anni Duemila, ha cambiato per sempre la storia dell’arte, è ancora attualissimo e
amato da un pubblico trasversale.
La mostra rappresenta una occasione imperdibile per godere della sua arte unica,
coraggiosa, innovativa e traboccante di idee.