…ribatte alle accuse di Viganò, solo e soltanto in base alle quali è emerso il suo atteggiamento omertoso sugli abusi sessuali di ben 300 preti. Se Bergoglio, di cui è fedelissimo, ha accettato le sue dimissioni vuol dire che è tutto vero
C’è poco da dire “non potevo sapere”, “non potevo immaginare”, “cercavamo verifica delle accuse” …: il clero è sempre informatissimo su se stesso. In Vaticano e nelle varie curie tutti sanno tutto di tutti. E comunque, se un sottoposto o, come nel caso di Washington, ben 300 preti -e per decenni- sono coinvolti in abusi sessuali, esiste quanto meno una responsabilità dei vertici che si chiama “culpa in vigilando”…
“La testimonianza di Viganò, in particolare nella parte che mi riguarda, non è fedele ai fatti”. Lo afferma il cardinale Donald Wuerl, in un’intervista esclusiva concessa al bimestrale dei gesuiti “America” a seguito delle dimissioni dalla diocesi di Washington. Come è noto l’ex nunzio in Usa, monsignor Carlo Maria Viganò, nella lettera del 25 agosto con cui attaccava l’operato di Papa Francesco sulla questione abusi, lo ha chiamato in causa per aver tollerato le disobbedienze del predecessore, l’ex cardinale McCarrick che Benedetto XVI aveva invitato a ritirarsi a vita privata. “Nella sua testimonianza, l’arcivescovo Viganò afferma chiaramente che c’erano delle sanzioni segrete – spiega Wuerl – ma dice anche di non averle comunicate neppure a me. Eppure questo avrebbe dovuto essere il suo dovere”. “Trovo difficile accettare la sua versione, che mi ritenga responsabile dell’attuazione di qualcosa che non ha mai trasmesso o del suo insulto gratuito di essere un bugiardo quando dico di non aver mai ricevuto queste sanzioni segrete – continua Wuerl -. Certamente non avrei mai immaginato che ci fossero sanzioni contro il cardinale McCarrick, pensando a tutte le volte in cui l’ho incontrato ai ricevimenti e agli eventi ospitati dall’arcivescovo Viganò nella Nunziatura. Il divario tra ciò che dice e quello che ha fatto e la sua facile calunnia mettono in discussione il vero intento e lo scopo della sua lettera”.
Nell’intervista, tradotta dall’agenzia della Cei Sir, il cardinale commenta poi il problema della divisione nella Chiesa e la necessità dell’unità e apprezza il consiglio di Papa Francesco di prendersi tempo “per pregare e per riflettere sulla nostra responsabilità primaria di pastori. Una responsabilità primaria è quella di mantenere quell’unità con Pietro. I vescovi devono sempre funzionare con e mai senza Pietro. Penso che sia parte di ciò che dobbiamo evidenziare oggi, e penso che dobbiamo anche evidenziare la collegialità affettiva, quel legame spirituale che è diffuso tra noi e trascende la diversità politica o operativa”. Wuerl, che nel frattempo è stato nominato amministratore apostolico in attesa del sostituto, ha aggiunto che è un’era nuova anche nella Conferenza episcopale americana dove “per oltre 30 anni abbiamo avuto divisioni in politica e nella prassi, ma siamo sempre stati in grado di lavorare insieme. Oggi quello che stiamo ascoltando e vedendo, dentro la Conferenza, è un livello di diversità attorno all’apprezzamento dell’insegnamento del magistero e questo livello di diversità è vissuto in maniera completamente nuova”.
“Ciò che è importante adesso non è concentrarmi su me stesso, ma aiutare questa chiesa a raggiungere un posto nuovo”, aggiunge Wuerl in riferimento alla lettera in cui Papa Francesco gli comunica di aver accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Washington.
Nella lunga intervista al mensile dei gesuiti “America”, Wuerl espone le ragioni che lo hanno spinto a formulare la richiesta, soprattutto dopo il rapporto del Gran Giurì della Pennsylvania che rivelava gli abusi su oltre mille minori e adulti commessi da circa 300 sacerdoti proprio negli anni in cui egli guidava la diocesi di Pittsburgh. “Ho commesso errori di giudizio – ammette il card. Wuerl – quando abbiamo avuto a che fare con tutti questi casi prima della Carta di Dallas (il documento della Conferenza episcopale americana contro gli abusi emesso nel 2002, ndr). Alcuni di quegli errori di giudizio erano basati su valutazioni psicologiche professionali, altri sulla lentezza amministrativa perché cercavamo di trovare qualche verifica delle accuse. Sono stati tutti errori di giudizio, e certamente provo rimpianto”. Infine, commentando il rapporto, aggiunge: “La risposta della diocesi di Pittsburgh agli abusi, che la Corte suprema ha voluto allegare al report del Gran Giurì, prova che ho agito in modo molto responsabile nel rimuovere i sacerdoti predatori”. Nell’intervista, il cardinale si dice “commosso perché la lettera del Papa evidenzia qualcosa che è estremamente importante per me e cioè che la prima responsabilità del pastore è verso il suo gregge, è verso il popolo affidato alla sua cura pastorale e l’unità del gregge è la cosa più importante”. Il card. Wuerl ammette che “non avrebbe potuto servire quell’unità” perché occupato nella difesa delle sue azioni e questo avrebbe rallentato il processo di risanamento delle ferite e di riunificazione della Chiesa: “Ecco perché ho chiesto al Santo Padre di accettare le mie dimissioni, perché una nuova e fresca leadership non dovesse avere a che fare con queste questioni”.
Fonte: Agi