“Vanno bene le intitolazioni di aule e piazze ai caduti della mafia: la memoria è importante. Ma è importante anche fare memoria. L’Italia ha una storia tempestata di depistaggi, ma ogni volta che se ne presenta uno nuovo, si fa fatica a riconoscerlo”. Inevitabile l’applauso delle centinaia di studenti al Teatro Massimo di Cagliari rivolto alle parole di Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio a Palermo.
Borsellino è stata la protagonista dell’incontro “La verità è un diritto”, organizzato dall’Osservatorio per la giustizia. Oltre il lutto e il dolore c’è stata per la sua famiglia anche la beffa. “Il caso della strage di via D’Amelio dopo 27 anni è studiato come cattiva prassi investigativa – ha raccontato – Una storia di menzogne nella quale sono state disattese le principali regole dello svolgimento delle indagini.
L’unico modo di onorare le vittime (Fiammetta è andata anche a Sestu alla tomba di Emanuela Loi, componente della scorta di Borsellino e uccisa nell’attentato, ndr) è un giusto percorso di verità. Invece tutto è stato disatteso dalla parte poco sana delle istituzioni: mio padre è stato tradito da vivo e da morto”. Un invito però anche ad avere fiducia. “Se dopo quattro processi qualcosa si sa è perché ci sono delle procure che lavorano e vogliono capire che cosa sia successo – ha chiarito Borsellino – Certo, i maggiori risultati il depistaggio li ha ottenuti: il passare del tempo”.
La figlia del magistrato ucciso Borsellino ha voluto ricordare la storia del finto pentito. “Uno che diceva di essere un mafioso ma in realtà era una persona facilmente manovrabile, determinata a parlare in un certo modo da coloro che lo gestivano”. Altro punto debolissimo dell’indagine? “Il coinvolgimento dei servizi segreti nelle prime ore ha dato il via al carattere fuorviante delle indagini – ha ricostruito Borsellino – E, a tutti i livelli, non si poteva non sapere. Ora il reato di depistaggio è legge, ma soltanto da due anni”.