In Italia la spesa pubblica per la ricerca è stata tagliata del 21% in dieci anni, dal 2007 al 2016; a questo taglio dal 2008 al 2014 si è accompagnato quello del 14% alle università statali, per un totale di circa 2 miliardi di euro. È quanto emerge dal Libro bianco sulla ricerca realizzato dal Gruppo 2003 e pubblicato dall’agenzia Zadig, presentato oggi a Roma presso l’Accademia dei Lincei. Sono quindi pochi i fondi pubblici assegnati alla ricerca nel nostro Paese, pari all’1,34% del Pil contro una media europea del 2%. “Occorre una strategia complessiva che passi dal nuovo Piano Nazionale della Ricerca”, ha rilevato il capo del Dipartimento per la Formazione Superiore e la Ricerca presso il ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, Giuseppe Valditara.
“La crisi del 2008 abbinata al taglio dei fondi pubblici – si legge nel rapporto – ha portato alla riduzione delle iscrizioni nelle università italiane, con una contrazione del 20,4% tra gli anni accademici 2003-2004 e 2014-2015”. Paradossalmente, spiegano gli esperti del Gruppo 2003, i tagli “hanno colpito proprio nel periodo in cui i ricercatori italiani hanno registrato un miglioramento della produzione scientifica”.
L’economia italiana ha inoltre tante piccole imprese con poca attività di ricerca. Per gli esperti, “all’estero c’è più attenzione e la partecipazione dei ricercatori è incentivata. Per questo, in 10 anni c’è stata un’emigrazione di circa 11.000 giovani studiosi. Una fuga di competenze – concludono – che impoverisce l’Italia”.
Il Libro bianco illustra, inoltre, che cosa può fare la ricerca per rendere la società più sicura e sostenibile nei settori dalla salute e dell’ambiente fino all’alimentazione e alla cybersecurity e all’economia. “La necessità di mitigare il cambiamento climatico – si legge nel rapporto – impone, ad esempio, scelte complesse. E questo non può essere fatto senza la ricerca. In questo momento – dicono gli esperti – non esiste alternativa all’eccellenza scientifica”.