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In occasione della giornata modiale delle persone affette da sindrome di down, dal mondo della ricerca arriva una richiesta di maggiori fondi per trovare possibili cure tese a migliorare la vita delle persone affette invece di concentrarsi sulla sola diagnosi prenatale. Insomma meno selezione e meno pregiudizi è il messaggio di questa giornata.
In Italia 38 mila persone affette da trisomia 21
In Italia e nel mondo, secondo le statistiche, in media un bambino ogni 1200 nascite è colpito dalla sindrome di Down, una condizione genetica alla base della più comune forma di disabilità intellettiva su scala globale. Su scala nazionale le persone affette da trisomia 21 (numero del cromosoma in più che è alla base della sindrome) sono 38 mila persone, mentre nel mondo sono 6 milioni. Nel contempo i dati raccolti da più fonti indicano una crescente diminuzione di casi dovuti, in gran parte, al ricorso all’interruzione di gravidanza in seguito ai test di diagnosi prenatale.
La malattia è stata segnalata per la prima volta nel 1866 da John Langdon Down – da cui prende il nome – la sindrome di Down: è una condizione in cui tutte le cellule del corpo presentano tre copie del cromosoma 21 anziché due. Da un punto di vista clinico la sindrome si manifesta con un ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica e con particolari caratteristiche del viso e del corpo.
Ma se lo scienziato inglese si limitò ad osservarne i tratti caratteristici, il legame tra quel cromosoma in più e lo sviluppo della sindrome avvenne solo nel 1959 grazie al genetista francese Jérôme Lejeune. La sua ricerca non si fermò al solo cromosoma in più. Giunse alla conclusione che a causare le manifestazioni fisiche della malattia, soprattutto a livello neurologico, sarebbe un’alterazione del metabolismo responsabile di un accumulo di sostanze: i neuroni vengono intossicati, provocando così la disabilità intellettiva.
Cruciale il contributo della ricerca italiana
Negli ultimi decenni l’intuizione di Lejeune sul fatto che il metabolismo sia la chiave per capire la sindrome di Down è stata conferma dalla ricerca scientifica. Determinante il contributo dato dagli studi dell’italoamericana Diana Bianchi della Tufts University School of Medicine e dal gruppo di ricerca del Prof. Pierluigi Strippoli dell’Università di Bologna. La Bianchi ha individuato nei feti affetti da trisomia 21 un eccessivo stress ossidativo, una produzione incontrollata di molecole tossiche che danneggiano le cellule.
Il team bolognese ha invece riscontrato per la prima volta nel sangue e nelle urine dei bambini con sindrome di Down un profilo metabolico caratteristico dei piccoli con trisomia 21 indipendentemente dalla loro età, sesso e stato di digiuno. Nell’aprile 2018 su ‘Frontiers in Genetics’ Strippoli e i suoi ricercatori hanno pubblicato uno studio che presenta la mappa complessiva dell’attività dei geni delle persone con sindrome di Down.
Sindrome Down è malattia metabolica, va trovata la cura
Una volta assodato che la trisomia 21 è una malattia metabolica, l’impegno della ricerca dovrebbe focalizzarsi sulla ricerca di una cura, seguendo l’intuizione del genetista francese già espressa 60 anni fa. “Troveremo un trattamento. È uno sforzo intellettuale meno difficile che mandare un uomo sulla Luna”, affermava Lejeune. Ed è proprio su questa strada che sta procedendo il professor Luigi Strippoli. Il prossimo passo sarà quello di individuare le anomalie maggiormente responsabili della disabilità intellettiva per poterle correggerle a livello metabolico. Un modo per tamponare l’eccessiva produzione di sostanze tossiche per i neuroni e così ridurre il danno a livello cerebrale.
A seguire le lezioni di Lejeune negli anni ’80 c’era anche un giovane universitario italiano al quinto anno di Medicina: Luigi Strippoli. E 30 anni dopo ha deciso di portare avanti le intuizioni ‘futuristiche’ del genetista francese. Il professore associato di Biologia applicata e responsabile del laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale all’Università di Bologna, diretto da Mauro Gargiulo, ha realizzato il progetto clinico-sperimentale più grande a livello nazionale, coinvolgendo 180 bambini.
Con un collega, il genetista Marco Seri dell’Unità di genetica medica dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, hanno delimitato la piccolissima “regione” associata alla Sindrome di Down, che rappresenta soltanto un millesimo dell’intero cromosoma 21. In collaborazione con l’Unità di neonatologia dello stesso ospedale, con una collega del dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, Paola Turano, hanno anche studiato il disturbo metabolico analizzando plasma e urine di decine di bambini.
“L’obiettivo adesso è stabilire il nesso diretto e arrivare a ipotizzare una semplice terapia metabolica. Finora nessuno ha mai proposto un’azione diretta e mirata. Se la trovassimo, potremmo permettere ai neuroni di riprendere un’attività adeguata”, ha detto Strippoli in un’intervista ad ‘Avvenire’.
Una “cura” per ridurre gli effetti sulla persona e per aiutarla nella sua vita quotidiana, agli antipodi dell’opinione prevalente nella comunità scientifica e nella società, che investono sull’identificare l’alterazione prima della nascita.
L’appello del ricercatore Luigi Strippoli
Non solo la ricerca sulla Sindrome di Down si focalizza ormai da tempo sulla diagnosi prenatale, trascurando invece quella sulle possibili cure per migliorare la vita delle persone, ma anche i finanziamenti sono sempre più risicati. Così le poche ricerche in piedi sulla cura rischiano di scomparire, nonostante risultati davvero promettenti.
“In media per ogni articolo scientifico su possibili cure o miglior comprensione della Sindrome ne vengono pubblicati almeno dieci sul miglioramento della diagnosi prenatale. La ricerca si è concentrata sul trovare marcatori più precisi per identificare le gravidanze con trisomia 21 e questo ha diminuito l’attenzione verso chi si propone invece di trovare cure”, spiega Strippoli.
Il suo progetto universitario ha un costo di circa 100 mila euro l’anno, di cui metà destinati a borse di studio, molto contenuto rispetto agli standard internazionali. Eppure i fondi scarseggiano sempre. Per il 90% la ricerca si sostiene con fondi da donazioni private da parte di fondazioni, aziende, associazioni, famiglie.
“Va fatto sapere che nella Sindrome di Down la disabilità cognitiva è meno grave di quanto ci si immagini. Il bambino spesso capisce molto più di quello che riesce a esprimere, e ha grandi potenzialità. Il nostro lavoro, come diceva Lejeune, consiste nel cercare di stare vicino al bambino e di combattere la malattia, che, per cause organiche, ne limita autonomia e capacità”, sottolinea Strippoli.
Flash mob europeo e carovana DownTour in Italia
Il DowTour che partirà oggi da Piazza del Popolo a Roma è un camper targato Associazione Italiana Persone Down (AIDP) che porterà un solo messaggio ai quattro angoli del Paese: “Da 40 anni combattiamo un’unica malattia: il pregiudizio”.
Sempre oggi sarà presentato il film di Federico Bondi, “Dafne”, prodotto e distribuito da Vivo film con Rai Cinema, distribuito in Italia dall’Istituto Luce Cinecittà e patrocinato da AIPD. Il film uscirà nelle sale il 21 marzo: a Roma sarà proiettato al Nuovo Cinema L’Aquila e al Mignon (21-27 marzo).
L’AIPD promuove anche il flash mob europeo in Italia, dove l’iniziativa si svolgerà in contemporanea in diverse città, con l’hastag #citizenlikeyou. Poi per tre giorni il camper fornirà informazioni sulla sindrome di Down e sulla storia e le attività dell’associazione fondata nel 1979 da alcune famiglie coraggiose. Oggi sono quasi 2 mila i familiari che si impegnano quotidianamente, insieme a professionisti di ogni genere, nelle 52 sezioni AIPD presenti in tutta Italia.
Il loro obiettivo è quello di continuare il percorso iniziato 40 anni fa, per dare piena cittadinanza e pari opportunità alle persone con sindrome di Down, mostrandone e valorizzandone capacità e autonomia. Domenica 24 a piazza del Popolo, con il camper dell’AIPD, ci sarà anche l’attrice Martina Stella. Il camper riprenderà poi il suo viaggio. Prossima tappa: Viterbo.
A seguire un viaggio di 37 tappe attraverso l’Italia che si concluderà a Roma il 13 ottobre, Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down. A bordo del camper un equipaggio che ad ogni tappa cambierà, ma che sempre sarà composto da due persone con sindrome di Down, un operatore e un familiare. I diversi equipaggi che si avvicenderanno sul camper, tappa dopo tappa, terranno un diario di testi e immagini, che alla fine del viaggio sarà consegnato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Quirinale che da ormai venti anni accoglie i ragazzi dell’associazione per tirocini di formazione al lavoro.
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