Se c’è una categoria ancora peggiore di quella dei manettari, è quella dei garantisti a targhe e giorni alterni, quelli che ignorano novantanove assoluzioni e si accorgono solo della centesima, caso vuole quella del loro amico, quella utile a essere strumentalizzata, quella perfetta per essere usata come una clava contro il giustizialismo altrui.
Lo diciamo con tutte le felicitazioni possibili per l’assoluzione in Cassazione di Ignazio Marino dal cosiddetto caso scontrini, che venne usato a pretesto dal Pd per sfiduciarlo di fronte a un notaio e far cadere la sua Giunta, sotto la spinta di tutti i più forti poteri di Roma – dai palazzinari al Vaticano – che Marino non lo potevano vedere. A posteriori, un errore politico clamoroso, su cui la Storia ha già messo una pietra sopra, una pietra di nome Virginia Raggi. Un errore che sarebbe stato tale anche se Marino fosse stato condannato, peraltro. Non ci si dimette, né si chiedono le dimissioni altrui, per un avviso di garanzia. Vale per Marino, e per chiunque altro.
E invece no. Renzi deve chiedere scusa, Orfini deve chiedere scusa, “E allora il Pd”, deve chiedere scusa, tutto modulato a uso e consumo di conti da regolare. Tutto ripetuto a pappagallo da gente che evidentemente dormiva quando qualche giorno fa Giulia Ligresti è stata assolta in appello dopo sei anni di calvario politico-giudiziario. Ricordate no? Un mese e mezzo di carcere preventivo, nonostante l’anoressia. Ricordate la famosa intercettazione dell’allora ministro di grazie e giustizia Cancellieri che disse banalmente che si sarebbe interessata al caso, e che venne messa alla berlina anche dal Pd perché amica di famiglia dei Ligresti? Ecco: assolta in appello con formula piena. Ma di scuse, per Giulia Ligresti, nemmeno l’ombra. Probabilmente perché nessuno, con lei, può permettersi di scagliare la prima pietra.
E forse qualche scusa la meriterebbe pure Duilio Poggiolini, che dite? Già, perché qualche giorno fa il “mostro della malasanità” è stato assolto dopo 26 anni – 26 anni! – dall’accusa di aver fatto circolare del sangue infetto che avrebbe ucciso nove emofiliaci italiani. 26 anni di gogna per sentirsi dire che il fatto non sussiste. Qualche scusa per questo novantatreenne vedovo che abbiamo dipinto come il peggior mostro di Tangentopoli per un quarto di secolo non ce l’abbiamo?
Proviamo a farlo, qualche volta, l’esercizio di dedicare anche ai nostri nemici, o a gente cui siamo indifferenti, la stessa intima solidarietà che offriamo a chi ci è amico, o a chi ci serve come corpo contundente sulla testa dei nostri avversari. Scopriremo che la giustizia italiana è uguali per tutti, nel senso che per tutti fa schifo. Che un’accusa non equivale a una condanna nemmeno per i mostri peggiori. Che fare politica con avvisi di garanzia e manette, molto semplicemente, non è fare politica. E se l’abbiamo pensato, anche solo per un minuto, dovremmo prima di tutto scusarci, anziché pretendere le scuse altrui.
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