Ci sono quelli che non vogliono gli ex renziani. Ci sono quelli che non vogliono quelli di Mdp, ché hanno tradito Renzi, come se un partito si misurasse sulla fedeltà al capo che fu, alla stregua dell’ultimo giapponese dimenticato sula roccaforte. Poi c’è chi non vuole Pizzarotti perché è un grillino (un ex grillino ma per gli integralisti non c’è differenza), poi ci sono quelli che erano Leu e non hanno proprio rotto benissimo e quindi mai con qualcuno di Leu, che in sostanza significa anche mai con Sinistra Italiana che infatti se ne va a sinistra, con la solita sinistra che si mette di corsa a inventarsi un simbolo pur di fare uscire qualcosa di potabile, poi ci sono quelli, come Calenda, che sono iscritti al Pd ma preferiscono il simbolo proprio e dicono che forse non è mica sicuro che si iscriverà al gruppo a cui si iscriverà il Pd.
In tutto questo c’è Zingaretti che dice di voler allargare, ma non si sa esattamente a chi, visto che non riesce nemmeno a ossigenare il proprio partito dalle intemperie della stagno che fu. C’è Più Europa, che preferisce forse fare da sola o forse no, bisogna decidere. Ci sono i Verdi, che ora sono con Possibile, e che vogliono provarci da soli e poi c’è Potere al Popolo che addirittura, vista la situazione preferisce chiamarsi fuori.
Un bel casino a sinistra. E tutte le volte siamo qui a ripetercelo addossando la colpa ai dirigenti come se avessero la bacchetta magica per gestire una comunità che non riesce a rimanere coesa nemmeno di fronte al governo giallo-verde, ai morti nel Mediterraneo, alle future elezioni europee che puzzano già ora di un sovranismo che vorrebbe diventare internazionale (internazionalizzare il sovranismo, tra l’altro, fa già ridere scritto così) ma stamattina mi sorgeva un dubbio: ma siamo sicuri che sia proprio colpa soltanto dei dirigenti? Intendo: siamo sicuri che il cosiddetto popolo della sinistra (o del centrosinistra, che sarebbe andato benissimo in questo caso per funzionare da argine) non sia impiastricciato nei propri gruppetti, nelle correnti, nei crocchi di persone che sanno perfettamente con chi non andare convinti (tutti) di essere autonomi che si bastino da soli? Perché viene molto difficile ipotizzare che i dirigenti che abbiano provato a tenere unito un po’ tutto siano dei pazzi visionari.
Ogni volta che scriviamo di sinistra dimentichiamo che se stiamo parlando di una sinistra che vuole governare, ad esempio, per fare un calcolo matematico facile facile, non si possa fare a meno del Pd. Fa male? Eh, lo so. Eppure quel terribile Pd del jobs act o del poliziesco Minniti e tutto il resto dovrebbe non esserci più. Meglio, mi correggo: potrebbe non esserci più se non venisse lasciato sguarnito il campo a sinistra (perché il Pd ha funzionato quando ha aperto davvero, anche a sinistra). È vero: nelle scorse elezioni si è consumato il fatidico tradimento che portò Bersani e gli altri a uscirne (e prima Civati) ma siamo sicuri di volersi consumare per gli errori consumati e per le amicizie consumate e per i rapporti consumati? Non è una provocazione, è una domanda, giuro. Perché se così fosse significa, a rigor di logica, che una maggiore coesione allora si potrebbe ottenere fra qualche secolo quando cambieranno gli elettori oltre che i dirigenti. C’è qualcuno che pungola il Pd sull’attivismo solidale? Sì, c’è, si chiama Pierfrancesco Majorino. Siamo sicuri che sia così furbo lasciarlo là in mezzo solo?
Ripeto, non è il solito articolo che chiede di andare tutti insieme appassionatamente (figuratevi io che contro alcuni errori di Renzi ho scritto intere paginate) ma, il problema, guardando qui da fuor, è che ciò che noi additiamo a una classe dirigente in realtà andrebbe chiesto agli elettori: esistono degli elettori che sono disposti ad andare insieme in un momento in cui la rivendicazione è lo status quo di ogni discorso politico? Intanto incrociamo le dita aspettando le soglie di sbarramento. Ancora una volta.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/08/italia-sinistra-salvini/41719/