In Italia sono più di 5 mila le persone con emofilia. “Più precisamente, nell’ultima rilevazione 2017 sono 4.179 i pazienti affetti da emofilia A e 898 quelli affetti da emofilia B”. L’emofilia è la coagulopatia emorragica più conosciuta, una malattia di origine genetica trasmessa per via femminile che colpisce quasi esclusivamente i maschi.La trasmissione della patologia è legata al cromosoma x; l’uomo (XY) ha una probabilità del 50% di essere emofilico, mentre la donna è generalmente portatrice poiché il cromosoma X sano impedisce l’espressione della malattia. Una donna può essere colpita da emofilia solo qualora sia figlia di padre emofilico e madre portatrice sana, ereditando, quindi, entrambi i cromosomi X mutati: si tratta di casi rarissimi. La comparsa della malattia, però, non sempre è prevedibile in base a queste teorie: l’emofilia può “saltare” delle generazioni per motivi non ancora del tutto chiari.
Dai dati del Registro risulta che il regime terapeutico più utilizzato per il trattamento dei pazienti affetti da emofilia grave è la terapia in profilassi, adottata nell’86,8% dei pazienti con emofilia A grave e nell’81,4% dei pazienti con emofilia B grave. La somministrazione a domanda del concentrato di fattore carente è invece il trattamento di scelta per le emofilie moderate e lievi.
L’evento avverso più importante nel trattamento dei pazienti con emofilia consiste nello sviluppo di anticorpi anti-FVIII e anti-FIX (inibitori). “La presenza di inibitori rende inefficace il trattamento con la terapia sostitutiva convenzionale, con conseguente minor controllo degli episodi emorragici. Nel 2017 – sottolinea l’Istituto superiore di sanità – 135 pazienti sono stati sottoposti ai trattamenti raccomandati in caso di inibitore, di questi l’85,2% è costituito da pazienti con emofilia A grave e il 7,4% da pazienti con emofilia B grave. Lo sviluppo degli anticorpi inibitori compromette la qualità della vita dei pazienti e ha un impatto significativo sulla gestione terapeutica del paziente, oltre a comportare un aumento marcato del costo della terapia”.
“Grazie all’efficacia delle procedure di inattivazione virale dei farmaci di derivazione plasmatica e all’avvento dei prodotti ricombinanti utilizzati nella terapia sostitutiva – rimarcano gli esperti – si è praticamente azzerato il rischio che il trattamento sostitutivo provochi l’infezione da virus Hiv e Hcv nei pazienti emofilici. I dati del Registro lo confermano, infatti i pazienti positivi all’Hcv presenti nella rilevazione 2017 sono 1.224 (di cui 169 positivi anche all’Hiv), ma solo 5 nella popolazione pediatrica (under 18 anni), e tutti di origine straniera, trattati con prodotti plasmatici nei loro Paesi di origine prima di essere seguiti presso i Centri emofilia italiani”.
fonte adnkronos