Un milione di specie a rischio estinzione. La situazione non è mai stata così grave: la natura soffre di un declino “senza precedenti”.
E’ l’allarme lanciato oggi dalle Nazioni Unite attraverso uno studio dell’Ipbes, il gruppo intergovernativo per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici, che individua anche le principali responsabilità di questa situazione: al primo posto, l’utilizzo che stiamo facendo di terra e mare, seguito dallo sfruttamento di piante e animali, mentre al terzo posto ci sono i cambiamenti climatici. Insomma, la colpa – secondo le Nazioni Unite – è dell’uomo e servono azioni urgenti per proteggere le foreste e gli oceani, e cambiamenti radicali nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo.
“Stiamo consumando le basi stesse delle nostre economie, i nostri mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita in tutto il mondo”, dichiara Robert Watson, a capo dell’Ipbes. Secondo il rapporto, le attività umane hanno “significativamente modificato” la maggior parte degli ecosistemi terrestri e marini: il 40% dell’ambiente marino globale mostra “gravi alterazioni” a seguito delle pressioni umane e ad essere in declino sono “ricchezza e abbondanza” dei mari di tutto il mondo.
Quanto emerge da questo rapporto è devastante”, commenta Greenpeace. “Nonostante il ruolo fondamentale della biodiversità nella conservazione della vita sul Pianeta, il prevalere degli interessi economici ha portato ad un tale sfruttamento delle risorse naturali da rischiare ora conseguenze irreversibili”, dice Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. Ad essere a rischio sono anche i mari. Secondo il rapporto Onu, i meccanismi esistenti per proteggere i nostri oceani non funzionano.
“Oggi solo l’1% dei mari globali è protetto e non esiste uno strumento legale che consenta la creazione di santuari nelle acque internazionali”, commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace Italia. Per Greenpeace c’è bisogno di un accordo globale che protegga almeno il 30% dei nostri oceani entro il 2030. Si tratterebbe di un’opportunità unica per i governi di lavorare insieme per salvaguardare la biodiversità marina, garantire la sicurezza alimentare a milioni di persone e avere oceani sani, ovvero una grande risorsa per contrastare i cambiamenti climatici.
Adnkronos.