È il giorno del grande comizio sovranista di Milano, appuntamento del tutto inedito per la nostra politica: i leader stranieri finora si erano visti prevalentemente nei congressi, nei convegni, difficilmente sui palchi di manifestazioni di piazza. Matteo Salvini ne porterà davanti al Duomo undici. Il nome più famoso – forse il solo famoso – è quello di Marine Le Pen, irriducibile icona del nazionalismo francese fin dagli anni ’90, quando la Lega era ancora un movimento indipendentista regionale e sognava un’Europa delle piccole patrie.
Con la signora Le Pen ci saranno l’olandese Geert Wilders e rappresentanti dei “partiti fratelli” dell’Austria (Fpo), della Germania (AfD), i bulgari di Volya, gli slovacchi di Sme Rodina, i cechi di Libertà e Democrazia, gli estoni di Ekre, i belgi di Vb, i danesi di Df e i finlandesi di Fp. Sarà una grande prova di forza a uso interno, soprattutto nei confronti del Movimento Cinque Stelle, il cui asse di alleanze resta piuttosto misterioso, ma anche verso i partner italiani di Popolari e Socialisti Europei (Forza Italia e il Pd), che non hanno programmato nulla del genere e, anzi, sono apparsi piuttosto timidi nel mettere in mostra i loro partner stranieri, quasi si vergognassero di ricordare i legami con Angela Merkel ed Emmanuel Macron.
Lo slogan sul palco sarà bilingue. “Prima l’Italia! Il buonsenso in Europa” per gli elettori leghisti. Per gli stranieri che magari vedranno le immagini in tv, è stata tradotta in inglese solo la seconda frase: Towards a Common Sense, cioè “In direzione del buonsenso”. Un’ovvia censura: far schierare i campioni di “Prima la Francia”, “Prima la Germania”, “Prima la Finlandia” eccetera sotto la frase “Italia First” sarebbe stato impossibile e bizzarro.
E tuttavia la piazza di certo non ci farà caso. In questo momento vuole fortissimamente credere che quegli undici rappresentino la possibile vittoria dell’”altra Europa”, o quantomeno la concreta chance di spostare a destra l’asse dei popolari convincendoli ad un’alleanza di tipo nuovo. È quel che dirà sul palco Salvini, è quel che ripetono in ogni comizio Marine Le Pen e gli altri, ma alla luce dei numeri la loro narrazione sembra segnata più dall’ottimismo della volontà che da calcoli realistici.
Tutti i sondaggi sui rapporti di forza nel prossimo Europarlamento ci hanno detto, finchè è stato possibile effettuarli e pubblicarli, che la maggioranza di 376 seggi non è alla portata di nessuna formula politica tranne l’alleanza tra Popolari, Socialisti e liberali dell’Alde, una delle forze in maggiore ascesa. Ed è questa ragionevole certezza che ha spinto nei giorni scorsi il candidato di punta del Ppe Manfred Weber a respingere senza mezzi termini l’ipotesi di accordi con i sovranisti. Certo, la storia recente dell’Europa ci ha abituato alle sorprese, ma anche la più grande di tutte – il Sì alla Brexit – si registrò sull’onda di un testa a testa durato per tutta la campagna elettorale, con i due fronti separati da poche briciole. Qui si parla di una settantina di seggi di distanza ed è davvero difficile immaginare un sorpasso, tantoché il fronte degli undici di Milano non ha fatto neppure lo sforzo di trovarsi un candidato di bandiera da contrapporre agli altri (missione peraltro impossibile: nella logica del sovranismo nessuno avrebbe accettato la guida di uno “straniero”) o di stilare un programma preciso oltre l’indicazione di sei generiche ispirazioni di principio.
Il comizio di Milano, così, servirà a Matteo Salvini soprattutto a uso interno. Per far dimenticare dieci giorni difficili. Per galvanizzare i suoi. Per dimostrare, con una partecipazione che si annuncia grandissima, che il Nord è roba sua. Per consolidare il gran sorpasso sul M5S che potrebbe qualificarlo come prossimo premier. Insomma, più che l’ultimo atto della campagna europea l’appuntamento milanese appare come l’apertura della prossima campagna politica. Troppo presto, dite? Ormai in Italia funziona così da molto tempo, bisogna farsene una ragione e attrezzarsi.
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