Le rare volte che si materializza nel Transatlantico di Montecitorio viene inseguito da un fiume di cronisti che gli pongono mille domande perché sanno che lui, Giancarlo Giorgetti, è il vero termometro dell’esecutivo gialloverde. «Chiedete al presidente del Consiglio», risponde sornione con quel sorriso da omaccione del Nord che conosce la fatica e lo studio, avendo sudato per ottenere una laurea in economia nella prestigiosa Università Bocconi.
Perché Giorgetti è così: non usa i social, non posta video, non frequenta i salotti, ogni mattina alla otto va a messa e riceve la comunione dal suo amico Monsignor Liberio Andreatta, centellina le parole, si inabissa quando può, appartiene insomma a un’altra era geologica politica che non è nemmeno la Seconda Repubblica. Ecco, Giorgetti è l’esatto contrario di Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo, oggi inquilino di Palazzo Chigi, che indossa abiti di sartoria, dorme rigorosamente otto ore ogni notte, posta video su tutte le piattaforme digitali, fa dei panegirici con le parole che metterebbero in difficoltà anche un democristiano come Forlani, e a lungo andare c’ha preso gusto a vestire i panni del presidente del Consiglio.
Dunque, se ieri Giorgetti si è sfogato con il cronista della Stampa a colpi di «Conte non è una persona di garanzia, è espressione dei Cinque Stelle», un motivo ci sarà. I due, è vero, non si sono mai amati. Troppo diversi, troppo distanti. A palazzo Chigi raccontano che il premier proverebbe invidia per questo ingombrante sottosegretario che riscuote un credito molto forte nel mondo del giornalismo e della politica. E che può vantare una rete di relazione che arriva fino a Francoforte. «Io e Draghi ci conosciamo da una vita», sussurra “Giancarlo”. E Giuseppe da par suo può far valere la rete di relazioni nel mondo forense tessuta negli anni in cui ha lavorato con il professore Guido Alpa.
Ma qui il punto è un altro. I due non si sono mai sopportati. Fin dal primo giorno si sono tenuti a debita distanza. D’altro canto, i cinquestelle avevano avvisato il premier: «Stai attento a Giorgetti». E Giorgetti fin da subito anche per questa ragione si è sentito un corpo estraneo all’interno del governo. I primi litigi risalgono al mese di luglio quando il sottosegretario leghista mise in allarme Conte sulla manovra di bilancio: «Se già sappiamo che tra fine agosto e inizio settembre i mercati si metteranno a bombardare, facciamoci trovare pronti». E dall’altra parte Conte: «Il presidente del Consiglio sono io». Ma Giorgetti non si arrende: «Il mio volevo essere solo un avvertimento: quanto è successo ad altri in passati, adesso può succedere».
I litigi sono stati all’ordine del giorno. Si sono scontrati su tutto: Tav, Tap, decreto dignità, rapporto Deficit/Pil. Per non parlare del reddito di cittadinanza che Giorgetti da sempre considera «una misura assistenziale» che non porta sviluppo. Altra lite: a novembre il leghista inizia a disertare una serie di consigli dei ministri perché i cinquestelle e Conte lo avrebbero tirato in ballo come l’ispiratore dei complotti. Leggi alla voce “manina” sul decreto fiscale. «Sono matti», disse il leghista. E allora prima o poi doveva succedere che Giorgetti sarebbe sbottato in quel modo. E il premier avrebbe risposto per le rime: «C’è una grammatica costituzionale: se si mette in dubbio l’imparzialità e l’operato del presidente del Consiglio si mette in discussione anche l’azione di governo e allora bisogna farlo in base a percorsi chiari e trasparenti. Le sedi ufficiali sono innanzitutto il Consiglio dei ministri e in prospettiva anche il Parlamento». Boom.
La ferita forse potrà rimarginarsi perché Giorgetti è un uomo da mondo anche se ormai crede sempre meno a questa esperienza di governo. Qualcuno prospetta per il sottosegretario leghista la via di fuga in Europa come potenziale commissario alla Ue. «Se va via Giancarlo crolla tutto», mormora un parlamentare del Carroccio. Sotto sotto Conte ci spera: se ne vorrebbe liberare perché a quel punto avrebbe mano libera su tutti i dossier.
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