È proprio il rinnovato asse tra Renzi e Calenda ad agitare i sonni di Zingaretti. I due – che in passato hanno avuto parecchie frizioni, ma che rappresentano la stessa anima liberale all’interno del Pd – hanno dato parecchia enfasi alla loro recente reunion, facendo capire che giocheranno la loro partita, insieme, nei prossimi mesi.
Una partita che il segretario Zingaretti, nel giorno stesso della sua elezione, ha tenuto a precisare che si sarebbe giocata sull’onda di due parole d’ordine: unità e, soprattutto, cambiamento. Il cambiamento annunciato però, proprio in virtù della tregua elettorale, non è ancora stato messo in pratica. Ma sarà il passaggio chiave per testare le possibilità di un futuro unitario per il Pd. Non è un caso, infatti, che la segreteria politica non sia stata ancora nominata e che se ne parlerà solo dopo le Europee. Anche da questo punto di vista, il risultato elettorale sarà dirimente per stabilire quale sarà il margine di manovra di Zingaretti. Più la sua linea avrà avuto successo, più avrà forza e libertà d’azione. Più invece il risultato si avvicinerà alla disfatta del 4 marzo dell’anno scorso, più le richieste di co-partecipazione nella gestione del partito saranno insistenti.
Tre cose, in questa campagna elettorale, non sono andate giù ai renziani, che hanno comunque fatto buon viso a cattivo gioco. La prima è stata la decisione di aprire le liste del Pd ai fuoriusciti di Mdp. Un affronto che, per chi ha vissuto come un dramma la sconfitta referendaria e come una beffa insopportabile i festeggiamenti di parte del partito (di cui l’iconica immagine del famoso brindisi al comitato del No Massimo D’Alema e Roberto Speranza), ha creato non pochi mal di pancia e indotto parte dei pasdaran della base renziana addirittura ad indirizzare le proprie preferenze elettorali verso Più Europa.
Non è piaciuta per nulla anche la partita relativa alla comunicazione. Dopo la defenestrazione degli uomini renziani che si sono occupati di questo aspetto anche durante la segreteria Martina – dal capo ufficio stampa Marco Agnoletti al responsabile social Alessio De Giorgi – c’era grande curiosità per vedere come sarebbe stata affrontata la questione da parte dei nuovi arrivati. Ebbene, la delusione è stata molto marcata. Si rimprovera a Zingaretti di non aver dato seguito agli annunci di voler impostare una campagna costruita sul noi invece che sull’ io e troppa timidezza (solo in parte mitigata negli ultimi giorni) nell’attaccare il governo in carica e rivendicare i risultati dei precedenti. In particolare ha fatto imbestialire il riferimento costante all’espressione Nuovo Pd, utilizzata in contrapposizione alle gestioni passate.
Infine è stata vissuta malissimo la gestione del caso Umbria e delle dimissioni della presidente Catiuscia Marini, contro le quali è stata proprio l’area renziana (capitanata da Anna Ascani) a giocare un forte ruolo di opposizione interna. La richiesta di fare un passo indietro, rivolta da Zingaretti alla Marini, è stata vissuta come un cedimento alla deriva giustizialista in salsa grillina, una cosa inaccettabile per i liberal del Pd.
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