Non se ne esce. Anche l’ultimo ceo di Deutsche Bank Christian Sewing è pressato dagli azionisti: a ogni loro assemblea annuale il clima si fa teso, la pazienza tocca il fondo come poi il titolo in Borsa. Sempre loro, e cioè i cinesi del colosso Hna, i reali del Qatar al Thani (attraverso due holding alla Cayman e alle Isole vergini) più il fondo BlackRock e altri grossi investitori americani, pretendono un cambio di passo impellente. Dal 2012 alle Torri gemelle di Francoforte si sono avvicendati tre amministratori delegati, Sewing è stato nominato poco più di un anno fa, con «effetto immediato» e la mission di «inaugurare una nuova era». A neanche 48 anni, è diventato il più giovane capo nei 150 anni dell’istituto: personalità solida, manager stimato e fidato, era arrivato a dirigere il ramo commerciale dopo quasi 30 anni di carriera in Deutsche Bank, dove aveva iniziato da ragazzo come praticante.
DAL 2012 PERSO LA BANCA HA PERSO IL 70% DEL VALORE
La guida di Sewing avrebbe dovuto segnare una discontinuità, un ritorno alla concretezza della grande banca internazionale tedesca. Ma non deve essere stato facile neanche per lui: non ci sono soluzioni miracolose, e neanche rapide. Per calmare gli azionisti, ha ripetuto quanto già annunciato all’assunzione del nuovo incarico nell’aprile del 2018: scatteranno «tagli pesanti»; Deutsche Bank sarà «indirizzata ai bisogni dei clienti e sarà meno soggetta alla volatilità», che in gergo meno diplomatico significa smantellamento dell’investment banking responsabile delle speculazioni delle crisi del 2007 e del 2010 e ritorno all’economia reale. A riuscirci, almeno: dal 2012, dopo cioè il decennio di gestione del ceo svizzero Joseph Ackermann (poi presidente della Banca di Cipro), l’istituto di Francoforte ha perso – nonostante tre ricapitalizzazioni (nel 2013, 2014, 2017) da quasi 20 miliardi di euro – circa il 70% del suo valore.
LA DISCESA DEL PREZZO DEI TITOLI DAI 92 EURO DEL 2007 AI 6,5 EURO DI OGGI
La Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) calcola che Deutsche Bank abbia toccato l’acme delle quotazioni nel 2007 con un valore di oltre 92 euro ad azione, «appena prima che esplodesse la crisi finanziaria». Con i nuovi record negativi dal 23 maggio 2019 di poco più 6,5 euro a titolo invece, mentre si svolgeva l’ultima assemblea degli azionisti, le azioni dell’istituto «non sono mai costate così poco»: per l’autorevole quotidiano tedesco, «nel complesso la banca non arriva oggi a un valore di 14 miliardi di euro». Negli anni sono state svendute nuove azioni per decine di miliardi di euro, capitali bruciati soprattutto a causa degli scandali esplosi a ripetizione: recentemente per l’indagine aperta a gennaio 2019 dalla Federal reserve americana (Fed) su transazione sospette dalla filiale estone di Danske Bank, anche attraverso Deutsche Bank.
L’INCHIESTA SUI TRUMP FILES DA CONSEGNARE AL CONGRESSO
Dopo il no della Corte di New York al riserbo chiesto dai Trump su alcune operazioni passate anche da Deutsche Bank, l’istituto tedesco dovrà passare i Trump files alle commissioni della Camera Usa che indagano sui conti della Trump Organization. Gli stessi esperti di antiriciclaggio in Deutsche Bank, secondo quanto ricostruito dal New York Times, avevano segnalato tra il 2016 e il 2017 ai vertici movimenti che poi non si ritennero da approfondire. In questi anni di turbolenze le spese legali per i contenziosi, soprattutto per le multe delle autorità americane, hanno sottratto all’istituto tedesco circa 13 miliardi di euro. Ma Deutsche Bank resta tra i maggiori gruppi finanziari al mondo: prima della crisi il primo in Europa, e a ragione Sewing ne ribadisce il «potenziale» nei margini di guadagno e negli investimenti. Nei primi tre mesi del 2019 l’utile di Deutsche Bank è stato pari a 200 milioni di euro.
LA DELUSIONE DEGLI AZIONISTI CINESI E LA FUSIONE FALLITA CON COMMERZBANK
L’emorragia deriva dai vortici continui dei titoli in Borsa. Deutsche Bank ha speculato per anni fino a restare intrappolata lei stessa nelle speculazioni dei mercati. La corsa al ribasso è agevolata anche dalla fuga di top manager dai settori dove è prevista calare la scure: un paio appena migrati a Goldman Sachs e Rothschild & Co. Né ha aiutato il nuovo ritiro, a febbraio scorso, di parte delle azioni da parte dei cinesi di Hna, dopo mesi di rumors su una loro uscita: dall’ingresso nel 2017, hanno ridotto gradualmente la partecipazione dal 9,9% al 6,3%; restano i maggiori azionisti, ma sono tutt’altro che soddisfatti. Nel primo trimestre del 2019 le entrate del gruppo sono calate del 9% su base annua, un dato che non entusiasma. Meno ancora il matrimonio fallito, questa primavera, tra Deutsche Bank e Commerzbank. Sponsor della fusione della banca too big too fail era in primis il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz.
MATRIMONIO IN ROSSO TRA I BOND DI COMMERZBANK I DERIVATI DI DB
Ma a frenare non poco il matrimonio sono stati gli stessi sindacati (Verdi) del Consiglio di sorveglianza di Deutsche Bank: più che un salvataggio, un’operazione onerosa a loro avviso che avrebbe potuto trascinare in basso anche il secondo maggiore istituto di credito tedesco. A breve termine 10mila posti a rischio, e in prospettiva fino a 30mila, per un buco finanziario di alcuni miliardi di euro che si sarebbe venuto a creare, anche al netto dei tagli per l’unione di parte degli uffici e per la digitalizzazione. Commerzbank, ha riportato Reuters, ha in pancia alcune decine di miliardi di bond (italiani tra l’altro) svalutati: può non essere abbastanza forte per assorbire i derivati di Deutsche Bank, in rosso dal 2015. Perplessità sulla fusione tra i due principali istituti tedeschi circolavano anche nel management e tra gli economisti: ipotesi non a caso trascinata nel tempo, per infine sfumare.
ACHLEITNER, IL DIRIGENTE IN SELLA DAL 2012 DA METTERE ALLA PORTA
Per l’operazione a Deutsche Bank servivano, secondo indiscrezioni, anche tra i 3 e i 10 miliardi di ricapitalizzazione. Per i Verdi la fusione l’avrebbe trasformata in una «preda ancora più vulnerabile» per i mercati. Ma i tagli già annunciati dal precedente ceo, il britannico John Cryan, di 9mila posti (4mila in Germania) tra i quasi 100 mila dipendenti del gruppo con sedi in 60 Paesi, sono ancora stati limitati. Sewing, il nuovo ad che «parla tedesco», tiene duro: gli azionisti impazienti ammettono che la banca fatica e ci «vuole tempo», non si può che promettere di «accelerare la trasformazione». Smantellare l’investment banking potrà forse rivelarsi duro come mettere alla porta il presidente del Consiglio di Sorveglianza, l’austriaco Paul Achleitner. In sella dal 2012, alle assemblee se ne chiede da tempo la testa. Tre amministratori delegati sono caduti, ma lui è sempre lì.