L’architettura della Flat tax targata Lega poggerà su una drastica potatura a detrazioni e deduzioni fiscali. Ma per evitare effetti collaterali negativi sarà «opzionale», nel senso che i contribuenti potranno scegliere se aderire alla tassa piatta oppure tenersi l’Irpef attuale con i suoi sconti. L’accelerazione sui dossier fiscali da parte del leader leghista Matteo Salvini arriva alla vigilia di quella che nelle intenzioni del Carroccio sarà, oggi pomeriggio, la riunione decisiva per definire il progetto. Al tavolo degli «economisti della Lega» citati ieri dal vicepremier ci sarà anche l’ex sottosegretario Armando Siri, che ha dovuto lasciare il governo per il diktat M5s ma rimane nella prima linea della Lega ed è l’ispiratore della tassa piatta scritta nel contratto di governo.
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I modelli sul tavolo restano più di uno. E il vertice con Salvini, che impegnerà anche il viceministro all’Economia Massimo Garavaglia e il sottosegretario Massimo Bitonci, servirà appunto a decidere su quale puntare. E con quali coperture, ovviamente la spina più grossa su un progetto che occupa oggi l’agenda della politica, ma che non arriverà prima della manovra d’autunno come riconosciuto ieri dallo stesso vicepremier nella conferenza stampa del tardo pomeriggio al Viminale. In manovra, anzi, arriverà il primo modulo di una riforma pensata come progressiva in più anni.
Salvini conferma che il taglio alle tax expenditures, cioè alle deduzioni e alle detrazioni che oggi abbattono imponibile e tasse, è un passaggio obbligato del progetto. Il ministro dell’Interno gioca sul tema la carta della «semplificazione della giungla» degli sconti, che «sarebbe comunque un passo in avanti importante». Ma la forbice deve agire soprattutto per coprire almeno una parte di questa promessa da 30 miliardi, che nella prossima legge di bilancio si deve aggiungere ai 23,1 miliardi dell’Iva, ai 3-4 delle spese obbligatorie e al costo degli altri interventi che si vorranno mettere in campo.
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Il problema però non riguarderebbe solo il bilancio pubblico, ma anche quelli privati dei contribuenti. Perché per trovare quelle cifre bisogna incidere anche sugli sconti più popolari, dalle spese sanitarie a mutui e istruzione, e il rischio è che lo scambio fra taglio di aliquota e addio alle agevolazioni sia meno vantaggioso su chi oggi le utilizza di più. Da qui la flat tax opzionale. In una scelta che però dovrebbe impegnare solo i titolari di redditi medio-alti: perché l’obiettivo di «tutela dei ceti medi» spinge a concentrare il taglio agli sconti solo per chi dichiara più di una certa soglia. In una delle tante tabelle che stanno impegnando il cantiere della proposta, per esempio, si ipotizza di cancellare gli sconti solo sopra gli 80mila euro di reddito, e si calcola per questa via un risparmio da 8 miliardi all’anno. Con un’asticella abbassata verso quota 60mila, spiega un’altra tabella, l’effetto triplicherebbe.
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Nella riforma si punta a far entrare anche la trasformazione del bonus da 80 euro da spesa pubblica a detrazione, sempre riservata agli oltre 11 milioni di dipendenti che oggi lo ricevono. La mossa, non semplice sul piano tecnico, chiuderebbe la porta girevole che ogni anno impone la restituzione del bonus a oltre un milione di persone.
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In ogni caso la flat tax sarebbe la protagonista di un dossier fiscale che nelle intenzioni della Lega punta anche ad altri temi, dall’inversione dell’onere della prova nella giustizia tributaria all’accelerazione dei crediti d’imposta fino allo sblocco dei debiti commerciali della Pa. Su quest’ultimo tema lo strumento potrebbe essere l’ampliamento delle forme di compensazione, proposto ieri alla Camera da una mozione che porta la prima firma di Simone Baldelli (Fi) ma è stata sottoscritta e approvata all’unanimità.
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