Ora, la vendetta è sentimento momentaneo. Non è che uno passa la vita a vendicarsi, salvo che non sia un Duellante di Ridley Scott o Antonio Salieri. Ti sei vendicato e vai avanti. L’elettore italiano si è regolato così. Nel 2018 ha regolato i conti, poi è andato avanti. E una volta placato il desiderio ritorsivo, il nostro Redneck immaginario si è accorto che in fondo questa gran rivoluzione, questo scombinamento del costume nazionale proposto dai grillini – un’Italia rigorosa come la Svizzera, onesta come la Germania, tecnologica come la Silicon Valley, senza più nepotismo, consulenze amicali, cognati a cui chiedere la cancellazione della multa – non era poi quel che desiderava. Scossa dal turbine degli opposti terrorismi (Torna il fascismo! Finiremo come la Grecia! Riecco Tangentopoli! Invasione africana! Rom dappertutto!) si è fatta una domanda analoga a quella che l’improbabile candidato sindaco Carlo Verdone si poneva proponendo di asfaltare il Tevere: “Ma ‘sto fiume ce serve?”. Mi serve tutto questo? Mi serve la democrazia della rete, l’onestà quintessenziale, le grandi opere bloccate in nome dell’ambiente, i bandi controllati con la lente, le tasse pagate fino all’ultimo? La risposta per molti è stata un “no”. E alle vecchie scelte di rivoluzione permanente si è sovrapposto un desiderio di segno contrario: protezione, continuità, ritorno ai bei vecchi tempi antichi quando non cambiava mai niente.
È questo il mood dell’Italia 2019, questa la percezione collettiva che ha sconfitto l’immaginario grillino e incoronato la proposta tradizionalista di Matteo Salvini. Spirito reazionario, si sarebbe detto una volta, solo che adesso non c’è nulla di ideologico nel ragionamento, solo un istinto e una fantasia: l’Italia a misura di borgo antico dove tutti si conoscono, senza stranieri che non siano i turisti americani, i giovani avviati all’apprendistato da meccanici o da falegnami, le donne a casa, i bambini all’oratorio. L’Italia come negli Anni ’60, un condono ogni tanto per sanare la veranda abusiva o l’Iva non pagata, le rotative della Zecca che stampano moneta a più non posso.
Non c’è niente di male in questa fantasia ma certo mal si appariglia con la Città Ideale del Movimento Cinque Stelle, che per di più, per tutta la campagna elettorale, ha fatto il guaio di sparare sul sogno evocato dalla Lega. Il borbottio quotidiano di Luigi Di Maio contro Salvini non è stato una buona idea: anziché annettersi quel che agli italiani è piaciuto di un anno di governo – sanatoria tombale sotto i 1000 euro, saldo e stralcio, tasse al 15 per cento per le partite Iva, immigrazione quasi sbaragliata – i grillini hanno dato l’idea, ogni giorno, che se fosse stato per loro, se avessero deciso da soli, col cavolo: queste cose non sarebbero mai state fatte. Il nostro Redneck immaginario, il nostro rivoluzionario convertito alla reazione, l’ha presa molto male. È finita come sappiamo. Ora vediamo quanto durerà la suggestione patriottico-conservatrice del momento e quale sarà il sentimento che se la porterà via, come è inevitabile nell’era del consenso liquido e iper-mutevole.
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