Firenze – Databile intorno al 480 a.C. e probabilmente parte di una grande statua di culto del dio Apollo che si ergeva in un tempio dell’antica Volterra, era stata definita dall’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli “la più greca delle opere etrusche”.
Ed in effetti la “Testa Lorenzini” è davvero il più antico esempio noto nell’Etruria centro-settentrionale di una figura scolpita nel marmo delle Alpi Apuane (il marmor lunensis dei Romani, oggi di Carrara).
Dal 5 giugno questo capolavoro della scultura etrusca sarà esposto stabilmente nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze accanto alla Mater Matuta, il sarcofago di un defunto accompagnato dalla divinità infernale Vanth, e al grande coperchio di sarcofago detto dell’Obesus etruscus.
Fino al 1997 la celebre scultura, già di proprietà della famiglia Lorenzini, da cui ha preso il nome, era stata data in prestito dai proprietari ed esposta nel Museo Etrusco Guarnacci di Volterra.
All’inizio del 2019 il Mibac ha esercitato il diritto di prelazione per questo prezioso reperto, mettendo a disposizione la cifra di 355mila euro. Grazie a questo acquisto, la “Testa Lorenzini”, rimasta inaccessibile al pubblico per ben 22 anni, torna ad essere patrimonio di tutti.
La scultura, come statua di culto, divenne presto fonte di ispirazione per una serie di statuette in bronzo diffuse in tutto il territorio volterrano e adoperate quasi sicuramente per i culti domestici.
La massiccia volumetria, i grandi occhi a mandorla, gli zigomi alti e prominenti fanno pensare che la statua sia il frutto dell’abilità di uno scultore etrusco il cui stile rivela forti influssi greco-orientali.
La scultura presenta anche caratteristiche tipiche dell’arte etrusca, come la fronte bombata, la complessa acconciatura dei capelli che rigonfiano il profilo della calotta cranica e la resa a rilievo delle arcate sopraciliari.
Gli occhi, in pasta vitrea e in altri materiali semipreziosi, derivano dalla tecnica delle statue in bronzo.
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