Alberto Brambilla
Pubblicato il: 05/06/2019 15:39
A giugno scatta “quello che è stato impropriamente definito il ‘ricalcolo delle pensioni d’oro‘: a ben vedere, un taglio a tutti gli effetti che colpisce peraltro le rendite pensionistiche già maggiormente vessate da metodo di calcolo e tassazione”. Lo afferma Alberto Brambilla, economista e presidente del Centro Studi e ricerche ‘Itinerari previdenziali’, in uno studio redatto insieme a Gianni Geroldi (Comitato tecnico scientifico Itinerari Previdenziali) e Antonietta Mundo (già coordinatore generale statistico-attuariale Inps).
“Più corretto sarebbe definirlo un incremento tra il 15% e il 40% di imposte su pensioni peraltro già assoggettate a una tassazione superiore al 40%. Un taglio che genererà entrate per lo Stato per circa 70 milioni di euro all’anno, per un totale di circa 350 milioni, considerata la durata quinquennale della misura che grava su pensioni già assoggettate a una forte tassazione e che non beneficiano di alcuna agevolazione o deducibilità”, avverte.
“Oltre alla perdita del potere di acquisto – ricorda Brambilla – delle pensioni sopra 5 volte il trattamento minimo, da giugno scatterà quello che, impropriamente, è stato presentato come un ‘ricalcolo delle pensioni cosiddette d’oro’ sulla base dei contributi versati: in realtà, un ‘taglio’ vero e proprio che, per percentuale e durata, non ha precedenti”.
Dura la critica che l’economista Alberto Brambilla rivolge al ministro del Lavoro sul taglio alle cosiddette pensioni d’oro. “Se fossimo un Paese normale – dice – le dichiarazioni del ministro del Lavoro sulle pensioni di importo oltre i 100mila euro lordi (55mila netti, una bella differenza) dovrebbero essere perseguite come ‘false comunicazioni’, con l’aggravante dell’istigazione all’odio di classe; infatti, il ministro insiste sul verbo ‘ricalcolare’ quando è ormai noto a tutti che il ricalcolo è pressoché impossibile”. Dal blog di Itinerari Previdenziali ilPunto, Brambilla fa il punto, insieme a Gianni Geroldi e Antonietta Mundo, proprio sulla misura che colpisce le pensioni più elevate. Il ministro, aggiunge il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari previdenziali, “non contento, definisce i pensionati ‘nababbi’, ‘d’oro’, che hanno prestazioni superiori ai contributi versati, mentre ci sono pensioni basse”.
“Ora, che ci siano più di 8 milioni di pensionati su 16 milioni con prestazioni tra i 400 e i 750 euro (pensioni sociali e pensioni di invalidità con indennità di accompagnamento) è vero, ma lo è altrettanto il fatto che, proprio perché totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato, significa che i beneficiari di queste prestazioni di imposte e contributi ne hanno pagate pochi nell’arco della propria vita lavorativa, e sono stati dunque per 65 anni a carico della società che, giunti all’età della pensione, provvede ancora al loro mantenimento”, avverte Brambilla. “Questo la politica dovrebbe saperlo, così come dovrebbe essere al corrente del fatto che i circa 29mila soggetti cui taglierà brutalmente la pensione sono proprio quell’1,13% di italiani che pagano il 20% di Irpef contro il 3% di Irpef pagata dal 50% dei contribuenti totali, tra i quali ci sono proprio i beneficiari delle pensioni minime che, per legge, non sono sottoposti a imposte”, tuona Brambilla.
“Ci sarebbe di che meditare. Soprattutto se si tiene conto che queste pensioni sono già state tagliate di molto in fase di calcolo retributivo. Infatti, mentre per importi fino a 47mila euro circa si applica il 2% per ogni anno lavorato (2% per 35 anni fa 70%, il che vuol dire percepire il 70% dell’ultimo reddito), per una pensione derivante da un reddito di 150mila euro l’aliquota media di rendimento passa dal 2% all’1,05%, per cui la pensione sarà tra il 36,75% (dipende dalla media dei redditi nella vita lavorativa) e il 51% dell’ultimo reddito”.
“Se sommiamo la perdita di potere d’acquisto delle pensioni causata dal reiterato mancato adeguamento all’inflazione e questo taglio”, per Brambilla “stupirebbe un mancato intervento” della Consulta, “considerando soprattutto il fatto che, non trattandosi di ricalcolo contributivo, il ‘ricalcolo’ è un evidente aumento dell’imposizione fiscale limitata a soli 29mila cittadini nella posizione di pensionati, che non si possono neppure difendere, mentre se contributo fiscale doveva essere, avrebbe dovuto gravare su tutte le tipologie di redditi (e non solo su quelli da pensione)”, conclude Brambilla.
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