I grandi terremoti emettono un ‘vagito’ distintivo, non appena comincia la rottura della faglia, che permette di capire se la magnitudo dell’evento sara’ pari a 7, 8 o addirittura 9. Il segnale e’ riconoscibile nei dati Gps che misurano i movimenti del terreno appena 10-15 secondi dall’inizio della rottura, e dimostra come questa tecnologia possa contribuire a migliorare l’accuratezza dei sistemi di allerta precoce, come quello attivo lungo la costa occidentale degli Stati Uniti, dove si attende il temutissimo ‘Big One’. A indicarlo e’ uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances dall’Universita’ dell’Oregon.
Il loro lavoro si basa sull’analisi di oltre 3.000 terremoti registrati a partire dai primi anni Novanta negli Stati Uniti, in Europa e in Cina: segnali indicativi di un’accelerazione nello spostamento del terreno sono stati individuati entro i primi 10-20 secondi di 12 grandi terremoti avvenuti tra il 2003 e il 2016.
In pratica, i dati suggeriscono che la rottura manifesta precocemente delle proprieta’ meccaniche, che permettono di prevedere come evolvera’ il sisma. Si tratta di un elemento importante per i ricercatori, che da anni cercano di capire se i mega terremoti siano radicalmente diversi da quelli piu’ piccoli, o se le differenze emergano durante il processo di rottura.
“E’ uno studio interessante, perche’ finora nessuno poteva dire se una rottura appena iniziata potesse evolvere in un piccolo o grande terremoto”, spiega Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) . “I risultati della ricerca – prosegue – indicano che nei primi secondi dell’evento c’e’ una differenza nella frequenza delle oscillazioni delle onde sismiche, che permette di fare una previsione”. Per Doglioni “questa informazione non ha un’applicazione pratica immediata , ma ci aiuta a fare luce sui meccanismi alla base dei grandi terremoti”.