Sì alla guerra all’Iran, nonostante l’Italia ne sia tra i primi partner commerciali. Sì alla guerra dei dazi alla Cina nonostante il memorandum d’intesa sulla nuova via della seta firmato dal governo solo pochi mesi fa. Sì agli F35 che costano tanto e non servono a nulla. Sì a Guaidò in Venezuela, nonostante la dichiarata equidistanza del premier Conte. Sì a fare tutti gli interessi americani contro l’asse franco-tedesco, dentro l’Unione Europea. Sì tutto quel che chiede la Casa Bianca, senza condizioni.
Se le elezioni europee del 28 di maggio – col trionfo della Lega, il crollo dei Cinque Stelle e il ribaltamento dei rapporti di forza nella maggioranza – ci hanno consegnato un nuovo governo in pectore guidato da Matteo Salvini, la visita del leader leghista negli Usa, dove ha incontrato il vicepresidente Pence e il segretario di stato Pompeo, non è che il suo primo atto programmatico: l’Italia in guerra con l’Europa, con una procedura d’infrazione in arrivo, lo spread al limite dei 300 punti base e i mercati che affilano i coltelli si consegna mani e piedi a Trump, offrendogli fedeltà assoluta in cambio di protezione.
Insomma, pare di capire che l’unica strategia dei nazionalisti di casa nostra è fare dell’Italia un protettorato americano, diventando uno strumento per devastare i processi di ulteriore integrazione ed emancipazione europea – esercito europeo vuol dire fuori dalla Nato? – che The Donald vede come fumo negli occhi. Il tutto, peraltro, non per ragioni di fini strategie geopolitiche e geoeconomiche: dai dazi al commercio estero sino alle sanzioni all’Iran non c’è decisione di Trump che ci abbia favorito. Anzi, se c’è un nemico dell’Italia è proprio il rosso presidente americano. No, dietro c’è solo una blanda motivazione tattica: far desistere l’Unione Europea dal comminarci una procedura d’infrazione, e permetterci di fare un’ulteriore manovra espansiva, sperando che la Casa Bianca tenga buoni i mercati.
La prima cattiva notizia è che la Casa Bianca non tiene a bada un bel nulla, soprattutto in presenza di fondamentali economici devastanti come quelli italiani, col PIl che cresce meno d’Europa e il debito pubblico che cresce a livelli record, mese dopo mese. La seconda cattiva notizia è l’America non ha il potere di cambiare la matematica e i soldi per fare la flat tax non ci sono comunque. La terza cattiva notizia è che quando sei una formica e negozi con un gigante, è molto probabile che il gigante possa non rispettare la sua parte di patto, qualunque essa sia, ogni volta raggiunto lo scopo. E Trump ha più interesse a spaventare Merkel e Macron che a distruggerli: sia mai che firmino intese con la Cina o con Mosca, per ritorsione.
Fossimo in Salvini, insomma, dormiremmo sonni molto poco tranquilli. La grande sfida ai mercati finanziari della manovra 2020 – così dovrebbe addirittura titolare la risposta italiana alla lettera di Bruxelles, secondo alcune indiscrezioni giornalistiche – potrà godere di uno o due tweet di Trump in sostegno, ma finirà come deve finire. Con l’Italia in ginocchio tre volte: in Europa, dove dovremo accettare se rispettare i patti o uscire. Sui mercati, dove gli investitori internazionali continueranno a fuggire più lontano possibile dai Btp. E a Washington, che si è guadagnata fedeltà assoluta alle follie trumpiane in cambio di nulla, o quasi. Se questo è sovranismo.
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