Maria Laura Antonelli / Agf
Vasetti di zafferano dell’altopiano di Navelli
A Civitaretenga non ci sono banche e nemmeno farmacie. C’è una sola parrocchia e una bella chiesa con chiostro, Sant’Antonio. La maggioranza delle case ha una sola stanza e in quella stanza, sotto al letto, è custodito uno scrigno. Pieno d’oro. Ma non un oro giallo, volgare, comune. E’ un oro rosso, nobile, raro, per il quale si muovono da ogni parte del mondo, dalle cucine più sofisticate e dai ristoranti più prestigiosi.
Tutti venivano a rendere omaggio a una regina la cui corona era fatta di minuscoli fiori viola, come quelli che ogni autunno inondano l’altopiano di Navelli, ai piedi di Civitaretenga. E oggi tutte le 82 famiglie di questo borgo arrampicato su uno sperone di roccia la piangono. Piangono lei, Gina Sarra, la regina che prese una terra spoglia e povera e la trasformò in una miniera d’oro a cielo aperto. L’oro rosso di Navelli: lo zafferano migliore del mondo.
Come la regina salvò lo zafferano
La prima volta che la regina dello zafferano andò a raccoglierli, i piccoli fiori viola, aveva tre anni. Ne aveva poco più di trenta quando decise che l’unico modo per salvare non solo la sua famiglia, ma le fondamenta stesse della comunità in cui era nata e cresciuta, era usare il mezzo più moderno dell’epoca: la televisione.
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Era la fine di maggio del 1983 e il magazzino della cooperativa fondata 12 anni prima da Giovannina, detta Gina, e suo fratello Silvio, era pieno di bulbi invenduti. Nel 1971 erano stati lei e Silvio a convincere le poche persone rimaste a Civitaretenga che lasciare che fossero le pecore a mangiarsi i bulbi di zafferano era come dare le perle ai porci. C’erano voluti appena dieci anni per ridurre l’intensa coltivazione della piana di Navelli che andava avanti da sei secoli a un ettaro.
Ancora un po’ e sarebbe sparita del tutto, con la tradizione e il patrimonio di un’intera regione. Ma nonostante i loro sforzi, nessuno sembrava volere quei due quintali di bulbi.
Come fece conoscere lo zafferano al mondo
Nessuno li voleva perché nessuno li conosceva e così Gina prese carta e penna e scrisse quella che forse era la trasmissione più popolare dell’epoca, ‘Portobello’. Enzo Tortora li invitò in studio e in pochi minuti vendettero uno scatolone di bulbi per 300 mila lire. Una discreto gruzzoletto, ma non era questo che Gina e Silvio volevano riportare a casa. Volevano che il mondo sapesse cosa di produceva in quell’altipiano a trenta chilometri dall’Aquila, nel cuore dell’Abruzzo, in un posto dove non si passa mai per caso, ma si arriva solo se davvero ci si vuole andare.
E l’oro rosso di Navelli divenne all’improvviso un’ottima ragione. Gina rispose personalmente a quattrocento lettere di persone che l’avevano vista in tv e volevano sapere, conoscere, A tutte spiegava che lo zafferano in pistilli della sua cooperativa era infinitamente meglio di quella mediocre polvere che veniva a basso costo dalla Spagna, dal Marocco, dall’Iran, dalla Turchia e dall’India.
Un giorno un uomo dall’aspetto curato ed elegante si presentò per conoscere l’oro rosso della regina dello zafferano. Si intuiva che era uno che ne capiva, ma Gina e Silvio non avevano altro da offrirgli che una fetta di pane, un po’ d’olio e una fetta di salame. Lo riconobbero solo quando lo videro in tv: era Gualtiero Marchesi.
Come conservò una tradizione di sei secoli
Ora la cooperativa è una florida azienda agricola, Casa Verde, il primo agriturismo d’Abruzzo. E’ stata meta di viandanti, compratori e personaggi illustri sin dagli albori, ricordava Gina, che ha vissuto in un’epoca in cui chi lo produceva, lo zafferano non lo consumava per non perdere guadagno. Al massimo si usava per aromatizzare la torta degli sposi. Le produzioni erano destinate ai mercanti aquilani che le rivendevano ai ricchi acquirenti del nord Italia e anche ai palati più raffinati dei Paesi stranieri, come la Germania, l’Austria e il Belgio.
I bulbi di zafferano si davano anche in dote alla sposa prima delle nozze, in un cofanetto di legno con le incisioni degli sposi che, una volta chiuso a chiave, si metteva sotto il letto, per custodirlo e perché le proprietà afrodisiache fossero di buon auspicio e di stimolo.
Oggi come allora, a ottobre si esce la mattina presto, si raccolgono i fiori e, tornati a casa si sfiorano, si mettono a essiccare sul camino e si avvolgono in uno strofinaccio di canapa o di lino. Per ottenere un chilo di zafferano occorrono circa 200.000 fiori e la produzione annua di Navelli è di 40 chili. Va a 12 mila euro al chilo, contro i 2-3.000 dell’iberico e i 1.000 di quello proveniente da altri Paesi.
“E’ il nostro oro” diceva Silvio Sarra, “Ha il colore del sangue, quello della gente che da secoli lo lavora. Salvando lo zafferano abbiamo salvaguardato un pezzo del nostro passato”. E le sue parole le ha ereditate e ripetute Silvia, fino a quando non ha chiuso gli occhi anche lei, nel freddo di fine dicembre, distesa su un letto sotto al quale uno scrigno custodisce il più profumato dei tesori.
Fonti: Virtù Quotidiane, InDettaglio
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