Voltare pagina. Finalmente Sergio Mattarella ha parlato dello scandalo Csm, di fronte al plenum stesso del Consiglio Superiore della Magistratura. E l’ha fatto ricordando chiedendo agli stessi giudici di far comprendere al Paese “che la Magistratura italiana, e il suo organo di governo autonomo, previsto dalla Costituzione, hanno al proprio interno gli anticorpi necessari e sono in grado di assicurare, nelle proprie scelte, rigore e piena linearità”. In altre parole, di avviare un percorso di autoriforma necessario a ridare autorevolezza e dignità all’organo di autogoverno dei magistrati.
Bene, bravo, bis. Però pensateci un attimo: e se uno scandalo simile avesse colpito il Parlamento, o il governo? Se si fosse scoperto qualcosa di analogo – usiamo sempre le parole del Presidente – a un “quadro sconcertante e inaccettabile”, un “coacervo di manovre nascoste” per governare la magistratura secondo logiche spartorie, posizionando i giudici amici nelle procure giuste per azzoppare le indagini, o per condizionare la politica nelle sue scelte, ecco: vi sarebbe bastata l’auto-riforma? Avreste accettato il “colpo di spugna” della “soluzione politica” al problema? Un bel “si volta pagina”, tutti a casa e non rompeteci più le scatole?
No, non l’avreste accettato, e non l’avete accettato – tra il 1992 e il 1993 – proprio perché è stata la magistratura a mettersi di mezzo, a condizionare i tentativi di auto-riforma del potere legislativo, a premere affinché non si definisse la sistematicità del problema, a picchiare con insistenza sul tasto della responsabilità penale che non poteva essere cancellata da un colpo di spugna. Se questo è il 1992 della magistratura – il momento cioè in cui si disvela cosa succede dietro il sipario -, di sicuro non è il suo 1993, fatto di misure draconiane, di poteri che strabordano e, letteralmente, dettano legge, di processi sommari e carcerazioni preventive usate come ghigliottine per il popolo.
Perché a nessuno deve sfuggire che non un giudice, nemmeno Palamara, il protagonista di questa storia “sconcertante e inaccettabile” si è fatto un minuto di carcerazione preventiva, sebbene forse il pericolo di inquinamento delle prove possa sussistere più qui che altrove. E a nessuno deve sfuggire, per esempio, che Pietro Tatarella, consigliere regionale di Forza Italia con una bambina di due anni che lo aspetta a casa, è in regime di carcerazione preventiva dal 7 di maggio (oggi è il 22 di giugno) per una piccola storia di corruzione e consulenze. O che, per citare un altro caso scandaloso, il sindaco di Lodi Simone Uggetti abbia passato un mese tra San Vittore e gli arresti domiciliari per un bando truccato di una piscina pubblica nel quale non c’era ombra di arricchimento personale.
Ribadiamo il concetto: quello che per la politica è un colpo di spugna, per la magistratura è un necessario percorso di autoriforma. E il carcere preventivo, necessario per la politica, diventa improvvisamente non necessario quando a essere coinvolti sono i magistrati.
Per carità: non facciamo i garantisti a targhe alterne. Il giorno che in Italia non servirà più sbattere in galera la gente prima di qualsivoglia condanna sarà un grande giorno. E il giorno in cui a tutti i poteri, di fronte a una crisi sistemica, sarà concesso di auto-riformarsi, senza che un altro potere si arroghi il diritto di decapitarli e di etero-dirigerne l’agenda, sarà un giorno ancora più grande. Per ora, ci limitiamo a dire che la magistratura si sta concedendo dei lussi che alla politica non ha concesso. Nel silenzio-assenso della politica.
È abbastanza, per capire chi comanda in Italia?
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/22/csm-mattarella-giudici-rifoma-giustizia/42629/