È crisi nera all’interno del Movimento 5 stelle, che si sta spaccando in più correnti, ingestibili persino dallo stesso leader Luigi Di Maio. Così nella nuova strategia del capo politico, ancora provato dalla bruciante sconfitta alle Europee, dai sondaggi che danno il suo partito in caduta libera e dai ferri corti con Alessandro Di Battista, è arrivato il rimpasto. Da operare tra il 20 luglio e la fine del mese, e che coinvolgerebbe diversi sottosegretari. Dopo il 20 perché, come molti sanno, è quella la data limite per scongiurare il voto a settembre, che la maggior parte dei pentastellati teme come il peggiore dei mali (ricordiamo che in caso di voto i parlamentari al primo mandato non avrebbero diritto alla pensione).
A decidere sul rimpasto, secondo le fonti de Linkiesta, sarebbero lo stesso Di Maio, insieme al ministro dei rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro e quello della Giustizia Alfonso Bonafede. La triarchia starebbe lavorando su questo progetto, a porte chiuse. Senza interpellare nessun altro, fatto che ha scatenato nelle ultime ore non pochi mal di pancia. L’idea sarebbe quella di far arrivare il Movimento a settembre più tonico per affrontare la nota al Def, e la fase viva del ciclo di bilancio, anche alla luce, a quanto dice una fonte M5S, di “dati economici e occupazionali meno negativi di quanto si prevedesse”.
Come mai il vicepremier ha preso questa strada? Lo ha fatto alla luce delle critiche che gli sono state poste dalla base. La prima è sulla natura troppo verticistica del Movimento, che non rispecchierebbe più le intenzioni dell’inizio: “Anche i cosiddetti portavoce nelle due Camere si sentono emarginati e soprattutto inascoltati”, prosegue la fonte. La seconda critica alla sua leadership riguarda la strategia, che non ci sarebbe o sarebbe troppo inefficace rispetto a quella della Lega di Matteo Salvini, “dove c’è concertazione e compattezza”. Terza critica riguarda i singoli parlamentari, ai quali non verrebbe permesso di guadagnare visibilità persino nelle trasmissioni televisive, con un controllo strettissimo da parte della comunicazione del partito.
Stante che fare un rimpasto in nome della trasparenza ma veicolato attraverso una triarchia a porte chiuse sembra già un paradosso, all’orizzonte si profila un ulteriore scossone per Di Maio: come ci spiega Francesco D’Uva, capogruppo M5S a Montecitorio, «a dicembre, secondo lo statuto del nostro gruppo parlamentare, scade il mandato dei direttivi, quindi anche il mio». A quel punto, infatti, saranno scaduti i 18 mesi previsti per il mandato dei presidenti dei gruppi di Camera e Senato, «e io non mi ricandiderò», precisa D’Uva. Inoltre, «sempre secondo le nostre regole, i prossimi incaricati dureranno solo 12 mesi». Lo stesso vale per il senatore Stefano Patuanelli, che tiene le fila pentastellate a Palazzo Madama, per il quale si prevede di individuare una rosa di sostituti tra ottobre e novembre, per poi fare la nomina formale a fine anno.
Ulteriore gatta da pelare per Di Maio, che alcuni descrivono come parecchio preoccupato che questo avvicendamento imposto dalla statuto possa portare a una nuova ondata di crisi, proprio in una fase tanto delicata del Movimento, in cui sono spesso i capigruppo a tenere a bada gli animi delle varie correnti in cui rischia di spezzettarsi il Partito, considerando peraltro che al Senato i numeri restano molto critici.
Un’altra nostra fonte aggiunge che addirittura Patuanelli sarebbe tra i papabili per un rimpasto più ampio, che coinvolga anche i ministri, me sarebbe una questione rimandata oltre la scadenza di fine anno.
E si aggiunge anche il problema Dibba. Il rapporto tra Di Maio e Di Battista in questo momento una delle micce più pericolose per la tenuta dei 5 stelle. I due neppure si rivolgerebbero la parola dopo che il verace Dibba, promuovendo il suo libro in giro per l’Italia, aveva ripetutamente criticato l’operato di Di Maio. Quest’ultimo, se in un primo momento aveva dato segno di voler incassare e passare oltre, da tempo ha scelto di metterlo all’angolo, chiarendo definitivamente chi è il capo. Eloquente un post su Facebook di fine giugno, in cui Gigi criticava chi “destabilizza il Movimento con dichiarazioni, eventi, libri”. Il vicepremier avrebbe visto nel comportamento di Di Battista un vero e proprio tradimento, forse anche peggiore di quello di Roberto Fico, ormai lontanissimo dalla propria linea. Anche su questo fronte, dunque, Di Maio sembra sempre più solo.
www.linkiesta.it