Tutto finito? No, per nulla. Perché i propositi bellicosi del Capitano saranno rinviati a data da destinarsi. Non può permettersi, Salvini, di andare al voto oggi, con lo stigma del Russiagate appiccicato in fronte. E non possono permetterselo nemmeno i Cinque Stelle, che se si votasse oggi perderebbero la metà dei deputati. Fine dei ricatti della Lega, quindi. E fine delle provocazioni dei Cinque Stelle.
Difficilmente, da domani, Salvini potrà permettersi di chiedere la testa di qualche ministro pentastellato, con una commissione d’inchiesta che rischia di cadergli in testa. E allo stesso modo, è sintomatico che Di Maio e persino Di Battista non abbiano riservato null’altro che qualche buffetto moralista al leader della Lega. Due debolezze non fanno una forza, ma perlomeno fanno equilibrio.
Lo stesso accadrà all’estero. Salvini rimarrà ministro dell’interno e vicepremier, ma il “most dangerous man in Europe”, come l’ha definito l’Economist di questa settimana è il realtà un leader dimezzato e delegittimato, guardato con ancora più sospetto di quanto già non lo fosse fino alla scorsa settimana, e pure un po’ sprovveduto. Possibile che per trattare un affare del genere Salvini abbia mandato un emissario come Luca Savoini nella hall di uno degli alberghi più famosi di tutta la Russia? Possibile che sia proprio Savoini, il suo braccio destro nei rapporti con la Russia? Possibile che abbia pensato davvero che bastasse vincee le elezioni per giurare da presidente del consiglio al Quirinale? Possibile non sapesse che difficilmente un amico dei russi diventa presidente del Consiglio in un Paese della Nato, pieno di basi e soldati americani?
La delegittimazione derivante dal Russiagate, non solo precluderà palazzo Chigi per un po’, a Matteo Salvini, ma finirà per condizionarne anche le scelte di politica estera.
Ce lo vedete, da domani, Salvini che batte i pugni sul tavolo per un Commissario Europeo leghista? O che minaccia la futura presidente di commissione Ursula Von der Leyen con la stessa tracotanza con cui dava dell’ubriacone a Jean Claude Juncker? O che impone una legge di bilancio che vada nella direzione dello sforamento dei parametri di Maastricht e della procedura d’infrazione col dubbio di non essere più nella lista degli amici fedeli, alla Casa Bianca e all’interno dell’establishment americano?
Accettiamo scommesse: difficilmente il Salvini di domani si metterà a combattere crociate contro Berlino, Parigi o Bruxelles, con tutti i vantaggi del caso per chi come Giorgia Meloni può prenderne il posto e per chi, come Giuseppe Conte, può fargli adeguatamente da nemesi. Improvvisamente il Capitano, quello delle parole chiave chiare come non mai, rischia di diventare né carne né pesce, ambiguo e contraddittorio. Normale.
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