Pubblicato il: 18/07/2019 11:54
“Di molta, troppa enfasi è stata caricata l’approvazione della legge cosiddetta Codice Rosso” che “non prevede fondi a disposizione per applicare tutto ciò che rimarrà quindi drammaticamente sulla carta”, e che si aggancia “assai pochino alla Convenzione di Istanbul che noi in Italia insieme a 8 membri del Consiglio d’Europa, abbiamo sottoscritto nel 2012, stabilendo che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia Alessandra Servidori, docente di politiche attive e di pari opportunità nel lavoro pubblico e privato presso Unimore, professore di politiche del welfare e componente European social network. Servidori è stata per diversi anni Consigliera Nazionale di Parità presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, lavorando in questo ruolo con tre ministri.
“Troppo poco è stato fatto in tal senso -ricorda Servidori a proposito delle risorse per combattere la violenza sulle donne- perché già da prima i fondi stanziati per un programma nazionale di intervento integrato che fosse serio e effettivo per tutte le regioni d’Italia erano irrisori, con un effetto a “macchia di leopardo” sul territorio e una distanza enorme tra il dato declamatorio inserito nella cornice legislativa e il dato reale”.
In Italia, ricorda Servidori “abbiamo messo in vigore un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per il quale è previsto un finanziamento di 10 milioni di euro dal 2013, prevedendo azioni a sostegno delle donne vittime di violenza”. “Ma è un “pianino” perché sì e no basta a tenere in piedi faticosamente i centri di accoglienza delle donne e tutti gli anni nelle leggi di bilancio si annunciano nuovi fondi ma le risorse non vengono stanziate e solo molto faticosamente vengono riassegnati i 10 milioni”.
“Normare è invece facile e poco costoso, -rimarca Servidori- sembra ‘rassicurante’ puntare soprattutto sulla criminalizzazione delle condotte, senza impegnarsi concretamente sulle necessarie azioni per creare un contesto efficace di contrasto alla violenza”. E intanto, non si risolvono i “problemi che ostacolano in Italia una buona applicazione della Convenzione di Istanbul, a partire da una cultura sessista e misogina della società italiana a tutti i livelli e dalla carenza di educazione sin dalla scuola”.
“Poi nella formazione professionale in tutti gli ambiti, che dovrebbe superare la visione stereotipata dei ruoli uomo-donna; inoltre la precarietà dei fondi assegnati a case rifugio e centri antiviolenza e la mancanza di accountability in relazione ad essi, la disomogeneità ed insufficienza dei dati richiesti e raccolti”, aggiunge.
Tornando al Codice Rosso, dice Servidori, “permane un generale problema dell’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza: non basta di certo scrivere che entro 3 giorni le donne saranno ascoltate dai giudici; esistono le criticità nel procedimento penale, ma soprattutto in ambito civile con la sempre più devastante interpretazione della regolamentazione dell’affidamento figli/e nei casi di violenza”. “E ancora le problematiche specifiche delle donne migranti; tutti temi che necessitano investimento, culturale ed economico, non mera criminalizzazione”, sottolinea l’esperta che segnala anche un “vuoto riguardante la condizione delle ragazze e delle donne con disabilità”.
“Così anche ciò che è previsto per il Jobs act per le lavoratrici vittime di violenza (un congedo straordinario ndr) rimane inapplicato così come un minimo di fondi per consentire alle Consigliere di parità di svolgere il loro ruolo a difesa anche di discriminazioni. Se quindi il dato normativo formale in Italia ha avuto sviluppi concreti, lo stesso purtroppo non può dirsi per tutto ciò che è necessario per garantire l’implementazione efficace delle norme da parte dei soggetti a ciò preposti per dare buone risposte alle donne e ai loro figli che chiedono supporto per uscire dalla violenza”.
“Nel loro percorso, infatti, le donne, -spiega Servidori- trovano ancora troppi ostacoli, con le forze dell’ordine generose ma impreparate, che con professionisti/e dell’ambito sociale e sanitario, dovuti ancora a scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere”.
“La politica è permeata dalla stessa matrice culturale e soprattutto non ha voluto – indipendentemente dal “colore politico” – dare un forte segnale di potenziamento di tutti gli strumenti possibili per combattere la violenza contro le donne, supportandoli con i necessari finanziamenti e progetti economici a lungo termine”, conclude.
Adnkronos.