Autonomia? Sì ma senza la scuola. Rimpasto? Ok, ma Trenta e Toninelli non si toccano. Russiagate? Il leader della Lega deve riferire in Parlamento. Se la crisi di governo doveva essere il ricatto perfetto per consentire a Salvini di prendersi quel che voleva, qualcosa non ha funzionato. Anzi, a dirla tutta, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio non sono mai sembrati così fermi e tranquilli nel rintuzzare le sparate dell’alleato di governo, quasi avesse smesso di fare paura, quasi abbiano smesso di giudicare credibili le sue minacce, quasi abbiano la certezza che non c’è nessuna finestra elettorale prima dell’autunno. Non più, perlomeno.
A voler fare i complottisti, si potrebbe dire che le registrazioni all’hotel Metropol siano uscite con un tempismo perfetto, poco prima della metà di luglio, giusto in tempo per far desistere Salvini dall’idea di far cadere il governo prima della legge di bilancio, per tornare al voto e prendersi tutto, o per farla fare da un governo tecnico a guida Pd – Cinque Stelle e cannoneggiarlo a dovere dall’opposizione. Missione fallita, ed è la prima volta dal 4 marzo dello scorso anno che Salvini deve registrare, suo malgrado, una deviazione dal percorso che si era immaginato.
E invece eccolo qua. A masticare amaro per l’elezione di Ursula von der Leyen, dalla cui elezione la Lega si è sfilata all’ultimo, contraddicendo la posizione ufficiale del governo italiano. A rinunciare ad avere un leghista in commissione – doveva essere Giorgetti, sarà presumibilmente Moavero. A difendersi dai rimproveri pubblici di Giuseppe Conte, uno che il Capitano ha sempre considerato alla stregua di un passacarte, se non peggio. Nemmeno gli è riuscito di adombrare il sospetto di un ribaltone: appena ha parlato di liason europea tra Pd e Cinque Stelle, è arrivata la sparata di Di Maio sul “Partito di Bibbiano” e la risposta dei democratici, sotto forma di querela. Niente da fare: né elezioni, né ribaltone.
Il brutto arriva adesso, però. Perché con l’autunno arriva una legge di bilancio che sarebbe riduttivo definire difficile anche se Salvini non avesse promesso la flat tax, con 23 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare e una Commissione coi fucili spianati – ancora Juncker e Moscovici, peraltro: la von der Leyen entra in carica a gennaio – che non accetterà una crescita di deficit e debito. Per Salvini, lo spettro sono tagli e tasse che aumentano anziché diminuire. E non sarà semplice, in quel caso, prendersela con l’Europa, coi mercati, coi migranti o coi Cinque Stelle. Dopo un po’ gli alibi finiscono e i capri espiatori pure.
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