Il momento della «verifica», per usare un termine abusato nella prima Repubblica, arriverà a settembre, quando partirà il confronto sulla manovra
di Barbara Fiammeri
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Il momento della «verifica», per usare un termine abusato nella prima Repubblica, arriverà a settembre, quando partirà il confronto sulla manovra. Matteo Salvini lo ha detto chiaro e tondo: «O sarà coraggiosa, o il coraggio lo chiederemo agli italiani». E per il vicepremier della Lega questo coraggio si traduce in un «pesante taglio delle tasse» che rilancerà in occasione del nuovo incontro con le parti sociali martedì, all’indomani di quello organizzato dal premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Insomma, il canovaccio salviniano è chiaro: o si fa la flat tax o si va al voto. Luigi Di Maio non ci sta e lo sfida a uscire allo scoperto. Pronti ad «abbassare le tasse» ma «se il cavallo di battaglia della Lega è la flat tax noi ci aspettiamo da loro il numero di miliardi che servono per farla», dice il leader M5s rilanciando i dubbi sulle coperture che «restano un mistero».
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Lo scontro dunque si sposta sulla legge di Bilancio. M5s alla tassa piatta contrappone una riduzione a tre delle aliquote per avvantaggiare i redditi medio bassi ma soprattutto ha come priorità il salario minimo che andrebbe “compensato” dal taglio del cuneo fiscale. «Non si può stare al Governo con l’atteggiamento da opposizione», attacca ancora Di Maio. Forse «la Lega ambisce ad avere qualche ministero in più», ma se è così, se Salvini vuole il rimpasto allora «lo dica chiaramente e si fa una riflessione». Quello che «non mi sta bene – insiste il vicepremier M5s – è che si dica di non volere poltrone e ruoli e poi si passi il tempo ad attaccare i ministri dei 5 Stelle». Salvini però di rimpasto non vuol sentir parlare. O meglio, chi è vicino al ministro dell’Interno spiega che «il rimpasto può arrivare solo se è chiaro che il Governo va avanti e quindi se si troverà una posizione comune sulla manovra».
Questo incessante botta e risposta senza soluzione di continuità che si protrae da settimane lascia aperta la prospettiva di una crisi di Governo nonostante la chiusura della finestra elettorale. Il pressing dei leghisti sul segretario è forte. Ma Salvini, che ieri è rimasto in silenzio, ha deciso di rinviare lo show down a settembre. Solo un colpo di scena in Parlamento potrebbe costringerlo ad anticipare i tempi. Lunedì infatti il decreto sicurezza bis è in Aula al Senato per il voto definitivo. Probabile che si ricorra alla fiducia per accelerare i tempi nonostante i numeri risicati della maggioranza a Palazzo Madama, che deve fare i conti con la pattuglia di dissidenti grillini. Al momento però nessuno, neppure tra le opposizioni, ritiene che il Governo possa andare sotto. Anche il voto sulle mozioni Tav, che si terrà tra martedì e mercoledì, non preoccupa. Il dissenso tra Lega e M5s sulla Torino-Lione è agli atti da tempo e dunque il voto del Carroccio assieme alle opposizioni per il sì all’opera produrrà un nuovo frolilegio di dichiarazioni belligeranti privo però di effetti sostanziali, tanto sul fronte della realizzazione della Tav che sulla tenuta dell’esecutivo.
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