Con una stupefacente escalation polemica Matteo Salvini ha liquidato in ventiquattr’ore il Governo del Cambiamento, l’alleanza tattica col M5S, la legislatura, lo scadenzario istituzionale che giudicava impossibile un voto in zona-manovra, il tabù dell’esercizio provvisorio per il bilancio dello Stato e anche, a latere, lo schema del centrodestra che determina da un ventennio le elezioni politiche nazionali. Tutto in una notte. La notte di ieri, poche ore tra il colloquio con il premier Giuseppe Conte e il comizio di Pescara, dove le determinazioni del leader leghista sono state svelate in piazza, direttamente al popolo. Andiamo al voto. Mi candido. Corriamo da soli.
Lo strappo è giunto assolutamente inaspettato persino nei più accorti palazzi romani, dove si dava per scontato il galleggiamento fino all’autunno. Il presidente Sergio Mattarella è rientrato in velocità da Castelporziano. La presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, già in ferie, si è attaccata al telefono per tenersi aggiornata. Più di un leader è stato sorpreso dalle notizie mentre era in volo per le vacanze. Cosa lo abbia determinato è, al momento, un mistero. La causa occasionale, la “pistola di Sarajevo” che ha ucciso la legislatura, viene indicata nel voto sulla Tav, ma è una giustificazione fragile: in fondo, era una semplice mozione, portata in Parlamento solo per salvare la faccia al Movimento, la spaccatura tra i partner era largamente scontata, irrilevante ai fini pratici.
La domanda che si fanno un po’ tutti è: perché adesso? Perché non un mese fa, quando il calendario avrebbe consentito una crisi ordinata senza ricorso all’esercizio provvisorio? Tra le conseguenze della guerra-lampo si Salvini ci sarà il quasi certo aumento dell’Iva legato alle clausole di salvaguardia (senza manovra economica scatterà automaticamente) e la sconfitta italiana nella battaglia per il Commissario Europeo (è ormai impossibile aggiudicarsi un posto di serie A). La road map scelta dal Capitano, insomma, piazza il voto nel momento più punitivo per gli interessi del Paese.
Giuseppe Conte è la vera controparte della corsa al potere del Capitano e lo ha dimostrato prendendo l’iniziativa mentre Luigi Di Maio reagiva quasi con stordimento all’improvvisa offensiva della Lega. A Salvini ha riservato parole di ghiaccio: “Farò in modo che questa sia la crisi più trasparente nella storia della Repubblica. Lo fai solo per capitalizzare il consenso: dovrai giustificarti davanti agli elettori. Ma non ti permetterò di dire che questo è stato il governo del no. Non eravamo in spiaggia ma a lavorare». Dunque, la campagna elettorale si aprirà in un modo del tutto inusuale con una crisi parlamentare – l’unico precedente è la caduta del Governo Prodi nel 1998 – e un dibattito alla Camera o al Senato nel quale i partiti squaderneranno le reciproche accuse a viso aperto. La sfida vera, in quella sede, sarà il duello tra Conte e Salvini. Le opposizioni, che da un mese chiedono elezioni anticipate, non potranno certo lamentarsi dell’irresponsabilità leghista, o dei rischi a cui viene esposto il Paese, contraddicendo la linea del “voto subito” sostenuta fino ad oggi con una notevole dose di imprevidenza.
Vedremo. I calcoli dei partiti fuori dal governo, fino a ieri, sembravano luccicanti come oro. Il Pd di Nicola Zingaretti vedeva a portata di mano la possibilità di sostituire la classe parlamentare legata al vecchio club renziano con nuovi fedelissimi. Forza Italia spingeva sulle elezioni anticipate per evitare una scissione e ripristinare il vecchio schema del centrodestra. Fratelli d’Italia accarezzava la possibilità di aumentare di un terzo i parlamentari e tornare a Palazzo Chigi. Ma ora che si è arrivati al giro di boa, ora che l’idea di una campagna-lampo si concretizza, per di più con l’idea che la Lega corra da sola, quel luccichio comincia ad appannarsi e la rupture appare assai meno promettente mentre si impone una chiara evidenza: l’unico a cui conviene lo strappo è Matteo Salvini, tutti gli altri rischiano di ricavarne solo cenere.
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