II premier ha deciso di non salire al Colle per rassegnare le dimissioni e di parlamentarizzare la crisi, aprendo un braccio di ferro con il leader della Lega e chiedendo che sia proprio Salvini a presentare la mozione di sfiducia
di Nicoletta Cottone
Non basta dire «al voto». Perché se è vero che il vicepremier, ministro dell’Interno e leader della Lega Matteo Salvini ha di fatto aperto la crisi evidenziando in una nota «l’irrimediabile distanza» fra gli alleati di governo, è anche vero che il premier Giuseppe Conte ha deciso di non salire al Colle per rassegnare le dimissioni e di parlamentarizzare la crisi. «Lascerò solo dopo che il Parlamento mi avrà sfiduciato», ha detto Conte aprendo un braccio di ferro con il leader della Lega e chiedendo che sia proprio Salvini a presentare la mozione di sfiducia. Una parlamentarizzazione che allunga i tempi per il voto della quale il capo dello Stato Sergio Mattarella ha preso atto.
Il voto di fiducia al governo Conte
Rompendo gli indugi il leader leghista, da un comizio a Pescara, ha invitato – in modo non certo ortodosso – i parlamentari ad «alzare il culo al più presto» e interrompere le vacanze per votare la fiducia, o meglio la sfiducia, all’esecutivo gialloverde. In base all’articolo 62 della Costituzione, le camere – chiuse per la pausa estiva – possono essere convocate in via straordinaria per iniziativa dei presidenti o del capo dello Stato o di un terzo dei suoi componenti. La prima operazione è, dunque, la convocazione di una capigruppo per la calendarizzazione in aula. Poi la convocazione delle Camere e il richiamo di tutti i parlamentari in vacanza. La riapertura straordinaria, in virtù dei tempi tecnici necessari, dovrebbe presumibilmente avvenire dopo Ferragosto. A quel punto si voterà la fiducia al governo Conte.
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La scelta del capo dello Stato
Dopo l’eventuale sfiducia al governo Conte il pallino tornerebbe nelle mani del capo dello Stato che avvierà le consultazioni sentendo formalmente i presidenti emeriti della Repubblica, i presidenti delle due camere e i gruppi parlamentari. Potrebbe affidare un mandato esplorativo allo stesso Conte o al presidente di una delle camere per verificare la sussistenza di una possibile maggioranza. Potrebbe puntare a un governo di scopo con l’obiettivo di varare la legge di bilancio. Potrebbe sciogliere le camere e andare alle elezioni.
Le possibili date per il voto
Se nessun tentativo andasse in porto, infatti, resterebbe solo la strada delle elezioni anticipate. Con tempi strettissimi e paletti da rispettare, a partire dall’articolo 61 della Costituzione, che prevede il decorso massimo di settanta giorni tra la fine della legislatura e le elezioni. Per consentire il voto degli italiani all’estero servono almeno 60 giorni. Tutto dipende, dunque, dall’andamento del dibattito parlamentare e da quando il premier Giuseppe Conte si presenterà dinanzi alle Camere. Sono tre le date finora emerse per il ritorno alle urne. Per votare il 20 ottobre – data che sembra improbabile – la sfiducia al governo Conte ed eventuali mandati esplorativi dovrebbero arrivare entro Ferragosto. Ci sarebbe una settimana in più se il voto si svolgesse il 27 ottobre. La terza data possibile potrebbe essere in novembre, il 3 o il 10. Dunque in piena sessione di bilancio. Ipotesi fortemente temuta dal Quirinale. Altra ipotesi, quella che si trovi una maggioranza per governare, un governo di transizione o di garanzia.
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