Diceva di non avere nostalgie per le formule del passato Matteo Salvini e con “passato” intendeva Silvio Berlusconi e il vecchio centrodestra. A quell’alleanza Salvini legava il ricordo d’una minorità politica e psicologica, da rimuovere. Ma martedì scorso quando il tabellone luminoso di Palazzo Madama ha disegnato di luci verdi i voti favorevoli alla sfiducia di Conte, immagine plastica del vecchio centrodestra, Salvini ha capito il suo secondo errore: dopo essersi messo nelle mani di Mattarella, aprendo la crisi, ora è nelle mani di Berlusconi, nel farvi fronte.
Non era nei piani, questo scenario. Ed era per evitarlo più di ogni cosa, che Salvini già aveva negato la possibilità d’un ritorno a intese con Silvio Berlusconi, ancora un minuto prima della rottura coi Cinque Stelle e Conte. Ma il capo leghista aveva fatto male i suoi conti: lo strappo da lui prodotto con la speranza di un blitzkrieg verso il voto anticipato si è rivelato, con l’inevitabile parlamentarizzazione della crisi, un boomerang micidiale. E così Berlusconi, fermo come il cinese sulla riva del fiume, è tornato centrale per gli equilibri parlamentari e soprattutto, per l’assetto del futuro centrodestra. Invece Salvini è passato dal vagheggiamento dei pieni poteri al rischio di tornare all’opposizione senza lo scudo del potere: dunque, alla necessità di aver di nuovo bisogno di Berlusconi.
L’asse con Forza Italia serve oggi alla Lega per allargare il perimetro dell’opposizione e per sventare la possibilità che Forza Italia resusciti un patto del Nazareno utile al governo di responsabilità che si va preparando. Sono molti i parlamentari di Forza Italia spaventati dalle urne e dalla prospettiva di un’annessione al Carroccio e invece attratti dal porto per loro più sicuro di un governo di legislatura.
A Palazzo Madama si contano quasi venti senatori azzurri in consulta permanente coi renziani per la possibilità di un governo di scopo e movimenti analoghi si registrano anche a Montecitorio. Per ora Berlusconi fa dichiarare ai suoi fedelissimi – Mulè, Giacomoni, Gelmini – che Forza Italia non appoggerà un governo giallorosso e che l’obiettivo sono le elezioni e una riedizione del centrodestra per vincerle. Tuttavia la diffidenza verso Salvini è molto alta e certo l’incontro di mercoledì tra il leader leghista e lo scissionista Toti ha intensificato i sospetti del Cavaliere a cui in questi giorni, rivitalizzato dalla crisi, è tornato a sussurrare consigli Gianni Letta, l’ispiratore del vecchio patto del Nazareno e ostile, insieme a un pezzo di Forza Italia, al capo leghista.
Gianfranco Rotondi, vicecapogruppo azzurro alla Camera, esprime pubblicamente quello che in molti pensano e non dicono nel partito: che il centrodestra non esiste più, che quello che propone Salvini è una coalizione di destra che cannibalizzerebbe il centro e che occorre “un governo di solidarietà nazionale” con la presenza del centro popolare per compensare lo slittamento a sinistra di un governo giallorosso. La confusione è grande sotto il cielo, ma è certo che le cose cambiano in fretta. Poco meno di due settimane fa Forza Italia consumava la sua crisi interna più drammatica con la scissione del governatore ligure Giovanni Toti e con la dura polemica di Mara Carfagna, delusa dall’interruzione del processo di rinnovamento azzurro. Berlusconi restava leader assoluto ma d’un partito in dissolvenza: il re d’una Fortezza Bastiani nel deserto dei Tartari da cui in molti pensavano di evadere.
Poi con la crisi e la sua parlamentarizzazione, avendo mantenuto il controllo ferreo del partito, Berlusconi è tornato ad essere l’unico interlocutore possibile di un Salvini dimidiato che oggi spera e spinge per la soluzione elettorale ma che, più realisticamente, teme i tempi lunghi della crisi e soprattutto un governo di legislatura che lo chiuda in una parentesi. Non è più tempo per presunzioni di autosufficienza: a Salvini oggi serve Berlusconi per spingere verso elezioni, per fermare i molti che in Forza Italia resusciterebbero volentieri il patto del Nazareno, ed eventualmente per un’alleanza elettorale che gli garantisca la maggioranza in caso di elezioni politiche.
E così la formula del passato è tornata attuale come i riti parlamentari della prima repubblica. A dimostrazione che il vecchio schema politico bipolare che l’asse populista Salvini-Di Maio doveva spazzar via è rimasto il terreno di caduta del nuovo che non è avanzato ma che in una specie di demolizione controllata è imploso su se stesso. È da giorni che le diplomazie di Forza Italia e Lega sono al lavoro per capire quali potrebbero essere i termini di una nuova alleanza.
La proposta leghista di un listone elettorale unico senza il simbolo di Forza Italia sembra già tramontata: i berlusconiani hanno fatto sapere a Salvini che non sono disposti a rinunciare al proprio simbolo e alle proprie liste, a dimostrazione che la crisi di governo sembra aver donato a Forza Italia nuovo sangue e nuova iniziativa. Si sta ragionando su un’eventuale formula di incontro ma intanto Berlusconi spinge i suoi a intervenire su terreni sensibili che suonano come avvertimenti rivolti proprio a Salvini. La prima questione è il Sud: che oggi si rivela il ventre molle leghista dopo la rottura coi Cinque Stelle e le polemiche sull’autonomia delle settimane scorse. E così i forzisti dicono che come non c’è sviluppo del Paese senza una politica di crescita per il Mezzogiorno così non c’è centrodestra senza Forza Italia che ha nel sud la propria maggioranza di consensi. Ed è proprio Mara Carfagna a dire che il Sud non si può utilizzare come bacino elettorale da spremere e buttare, e che la battaglia elettorale, se si andrà al voto, si vincerà al Meridione esattamente come è successo nel 2018.
E in effetti c’è chi tra i forzisti ricorda che, se Salvini vuole vincere i 27 collegi della Sicilia, è con Forza Italia che deve trattare e allearsi. Perché – ed è questo il ragionamento che Berlusconi mette sul tavolo del negoziato con Salvini – Forza Italia può non vincere da sola ma senza di lei non vince neppure la Lega.
L’altra questione è l’Europa: una condizione per rimettere insieme i cocci della vecchia alleanza moderata è ancorare il centrodestra all’idea liberale, popolare, europeista. Un’altra condizione che a Salvini dà fastidio anche solo ascoltare ma sulla quale Giorgetti lo invita a riflettere seriamente considerato il colpo a vuoto che il capo leghista ha vibrato all’Unione europea, restando isolato, confuso e sconfitto. La mossa di Salvini – che nelle intenzioni doveva essere una ritirata strategica propedeutica a un nuovo sfondamento – si sta rivelando una trappola come la sua presunzione d’autosufficienza che si palesa come un’illusione. Oggi Salvini è a Canossa: nelle mani del Parlamento, di Mattarella e di Berlusconi. I tre legami che voleva spezzare.
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