All’autolesionismo non c’è mai fine. E può essere che anche questa volta i Tafazzi di sinistra abbiano la meglio su tutti gli altri, e decidano che no, il governo con Cinque Stelle non s’ha da fare. Che no, il Pd, la seconda forza parlamentare e il secondo partito nel Paese secondo i sondaggi, è l’unico indegno a governare. Che no, la nostra è una repubblica presidenziale de facto, e se cade un governo si deve tornare subito al voto. Che no, chi vuole sconfiggere Salvini deve provare a farlo su una gamba sola, e con la pistola scarica. Salvini può fare i governi che vuole, in Parlamento, scegliendosi gli alleati tra i suoi avversari del giorno prima, senza dover scontare nessun dazio. Il Pd no, il Pd deve giocare con regole diverse.
Lo stesso vale per i Tafazzi pentastellati, intendiamoci. Quelli che butterebbero nel cesso il 32% del 4 marzo per paura di qualche post su Facebook e Twitter, di una rivolta della base che non esiste – i militanti Cinque Stelle che vogliono l’accordo col Pd sono la stragrande maggioranza -, e degli ululati alla Luna di un Matteo Salvini mai così in difficoltà, nel nome di una purezza che ormai è stata abbandonata persino da Beppe Grillo, il più pragmatico della banda, insieme a un sorprendente Luigi Di Maio, che mai avremmo immaginato capace di gestire questa delicata transizione col piglio e la discrezione che sta dimostrando in queste ore.
Tutto dice sì a un accordo Pd-Cinque Stelle. Dalla convergenza programmatica, molto più semplice rispetto a quella giallo-verde, in cui fu necessario giustapporre due programmi incoerenti fra loro, che può contare sulla rinnovata attenzione del Pd (e dell’opinione pubblica alle tematiche ambientali). Alla convergenza di intenti di breve periodo, che si traduce nell’evitare lo spettro delle elezioni anticipate che regalerebbero governo e parlamento al centrodestra, grazie a una legge elettorale che sembra fatta apposta per far trionfare Salvini. Finanche la figura di Giuseppe Conte stesso, unico vero candidato al ruolo di presidente del consiglio, elettore di centrosinistra pentito, volto istituzionale del Movimento, uomo di fiducia del presidente Mattarella, nemesi di Salvini nelle ultime concitate settimane, appare essere l’uomo giusto al momento giusto, per gestire questa transizione senza che nessuno si faccia male.
Tutto dice sì, anche alle esterno del mondo democratico e di quello pentastellato. Salvini che rosica e corteggia i Cinque Stelle ed evoca complotti interstellari. Anche gli spifferi europei che parlano di un allentamento dei vincoli di bilancio, che permetterebbero a Pd e Cinque Stelle di evitare una finanziaria lacrime e sangue. Anche l’approvazione di Merkel, Macron e di tutti i partner europei, che non vedrebbero l’ora di riabbracciare l’Italia tra le forze motrici dell’Unione Europea, fuori da quell’angolo rancoroso e sterile in cui l’Italia si era auto-esliata.
Tutto dice sì, ma siccome la politica è un gioco strano, può pure essere che l’accordo non si trovi, che vincano gli opposti partiti del No. Quelli che parlano di spartizione di poltrone, come se fosse una novità assoluta del governo giallorosso, e tra Lega e Cinque Stelle non vi sia stata una trattativa di novanta giorni su ogni singola casella di ministri e sottosegretari. Quelli che parlano di accordo innaturale, come se gli ultimi 14 mesi fossero stati normali, con un governo che metteva nello stesso programma flat tax e assistenzialismo, autonomia alle regioni del Nord e aumento dei sussidi al Sud, contemporaneamente maggioranza e opposizione in Europa alla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
Quelli che rivangano le polemiche e gli insulti di ieri, come se in politica il passato contasse davvero qualcosa, come se la Lega non avesse mai più governato con Berluskaiser, come se Di Maio e Salvini non si fossero mai insultati prima di fare un governo assieme. Quelli che sperano nel tanto peggio tanto meglio, convinti che un governo Salvini sia il miglior anticorpo a Salvini, esattamente come un governo Berlusconi, nel 1994, ci avrebbe vaccinato definitivamente contro il berlusconismo.
Dovesse accadere, ringrazierebbe Salvini che si ritroverebbe di nuovo al Viminale a ciclostilare decreti sicurezza, a promettere manovre epocali e guerre dei mondi contro l’Unione Europea, e a sfogliare la margherita di un Presidente della Repubblica sovranista e accondiscendente. Ringrazierebbe Berlusconi, che si ritroverebbe al governo, coi suoi giornali e le sue televisioni. Ringrazierebbe Meloni, che potrebbe spingere ancora più a destra l’agenda politica, per guadagnarsi spazio. E ringrazierebbero i caudillos dell’opposizione sempre, che si guadagnerebbero un decennio di visibilità, mentre la destra si prende il Paese. Volete davvero tutto questo? Pensateci bene.
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