Dieci, cento, mille Beppe Grillo. Sarà incoerente, sarà superficiale, sarà opportunista, tutto quel che volete, ma ogni suo intervento in questa crisi di governo infinita è uno schiaffo in faccia a tatticismi e alle prudenze, una boccata d’aria fresca di idee e visioni in un discorso politico che più autoreferenziale non si può, un tentativo di superare schemi vecchi e vecchi rancori, di dare un’anima, uno slancio vitale a un’operazione politica, il governo giallorosso, che altrimenti morirebbe di noia e di baruffe sui vicepremier.
Dieci, cento, mille Beppe Grillo, perché nel suo video-appello dice una cosa terribilmente reale: che c’è da riprogettare il mondo. Ha ragione, Grillo, quando dice che siamo nel mezzo di uno snodo epocale: c’è da decidere che fare della globalizzazione, nel mezzo di una guerra di dazi tra Usa e Cina, con il rischio concreto di una nuova crisi globale alle porte. C’è l’Artico in fiamme, catastrofe ecologica prossima ad accadere e snodo geopolitico fondamentale del prossimo decennio. C’è l’Amazonia che brucia nell’indifferenza colpevole di Jair Bolsonaro. Ci sono le più grandi multinazionali del mondo che non pagano un centesimo di tasse, e milioni di cittadini che ne pagano sempre di più, pur vedendo erodere, giorno dopo giorno, il proprio potere d’acquisto e la propria protezione sociale. C’è un’Europa bipolare, scissa tra la volontà di integrarsi sempre di più e i continui successi elettorali di forze nazionaliste e xenofobe, buon ultimo l’exploit di Alternative fur Deutschland nell’elezioni in Sassonia e Brandeburgo.
Dieci, cento, mille Beppe Grillo perché ha capito che l’occasione è storica. Perché l’alternativa è un’agenda di priorità dominata da Salvini, dai porti chiusi, dalle frontiere chiuse, dall’Europa fortezza, dal meno tasse ai ricchi, dalla difesa delle identità contro ogni contaminazione, dall’indifferenza per le questioni ambientali, per la scuola e l’istruzione, per l’innovazione come sorgente di nuova ricchezza, per un nuovo welfare incardinato sulla protezione universale di ciascun individuo in quanto tale, indipendentemente dal contratto di lavoro che ha firmato.
Dieci, cento, mille Beppe Grillo, perché è uno dei pochi, tra i Cinque Stelle che ha capito l’errore capitale commesso, che è consapevole che il Movimento ha offerto un capitale politico enorme a quell’agenda, alleandosi con la Lega, e finendo per esserne travolta, regalando a Salvini una maggioranza parlamentare che non aveva, un mare di elettori e tutta la subalternità culturale del mondo. Citofonare Toninelli e Trenta che controfirmano ogni No agli sbarchi del Viminale, anche di fronte a navi piene di bambini e donne incinte. Citofonare Di Maio e Di Battista, che con la loro retorica sul sistema Bibbiano sono carne da cannone per lo smantellamento del sistema degli affidi e della tutela dei minori violati, cara ai talebani della famiglia tradizionale come Pillon e Giovanardi.
Dieci, cento, mille Beppe Grillo, perché guarda avanti e non si guarda alle spalle. Perché sarebbe facile sciorinare vecchi odi e vecchi rancori, ricordare lo sprezzo con cui era stato liquidato quando cercava di portare le sue istanze nel dibattito politico del centrosinistra, così come del resto sarebbe facilissimo per il Pd ricordarsi tutti gli strali del comico genovese. Eppure sta nell’intelligenza politica delle persone capire che le stagioni politiche cambiano e che il cambiamento cancella tutto ciò che è stato. Fu Berlusconi nel 1994 a farlo capire ad Alleanza Nazionale e Lega Nord, fino a quel momento nemici giurati. Fu Prodi a far capire nel 1996 a far comprendere a popolari e progressisti la necessità di convergere, dopo cinquant’anni da Don Camillo e Peppone, per combattere il fenomeno Berlusconi.
Oggi è toccato a Grillo costruire il ponte necessario tra il popolo democratico e quello del movimento. Che ci riesca o meno, gli va dato il merito di averci provato. Non dovesse riuscirci, a causa delle ripicche, delle rivendicazioni personali, della pochezza della classe politica che la presunta rivoluzione grillina ha generato, toccherà a qualcun altro farlo. Nel caso, chi di dovere avrà almeno cinque anni per provarci. Cinque anni di opposizione assicurata, in cui non toccherà palla su nulla, men che meno sull’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Successo assicurato.
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