Era il 1 giugno 2018, nella Sala degli Specchi del Quirinale, quando Giancarlo Giorgetti diede un consiglio a tutti i ministri leghisti del neonato e giurante governo Conte Uno, quello gialloverde: tenetevi una foto di Matteo Renzi sulla scrivania, disse: “Abbiamo un’opportunità, ma fate attenzione. Ricordatevi che quattro anni fa il segretario del Pd aveva il 40%”. Dalle (rare) immagini di Matteo Salvini al lavoro nel suo ufficio al Viminale sappiamo che almeno uno dei ministri leghisti non ha ascoltato quel consiglio: i figli, il cuore immacolato di Maria, ma niente Matteo Renzi. Sappiamo com’è finita, giusto ieri, con la crisi aperta da Salvini stesso, col sistema Parlamento-Quirinale che ha fatto quadrato per non andare a votare, con il ribaltone dei Cinque Stelle, con la nascita del Conte Due, quello giallorosso, con la sua legittimazione bulgara di Rousseau e dello spread, sceso a livelli che non si vedevano dai tempi del pentapartito di Prodi e Padoa Schioppa.
E allora, forse, l’unico consiglio che si può dare a Di Maio e Zingaretti, a Renzi e allo stesso Conte, così uguale e così diverso rispetto a quattordici mesi fa – oggi politico più popolare del mazzo, ieri parte dell’arredo del Quirinale – è quello di mutuare il consiglio di Giorgetti: tenetevi una foto di Salvini sulla scrivania, ministeriale o meno. Una di quelle in cui è circondato da folle oceaniche, mentre bacia il rosario, o mentre dispensa bacioni.
Tenetevi una foto di Salvini, perché evidentemente la malattia del potere è contagiosa, tra i giovani e meno giovani leader della Seconda Repubblica e mezzo. Ed è quella malattia che ti porta a cullarti di un consenso tanto plebiscitario quanto effimero, concesso in comodato d’uso da un popolo alla ricerca di un centro di gravità permanente da quando non esiste più la Democrazia Cristiana e che da allora ha sedotto e abbandonato Berlusconi, Prodi, Monti, Grillo, Renzi, Di Maio e Salvini, senza mezze misure, issandoli e abbattendoli come idoli di cartone, nel giro di qualche anno o di pochi mesi, alzando sempre di più il livello delle aspettative e accorciando sempre di più i tempi.
Tenetevi una foto di Salvini, perché di promesse mirabolanti si può morire e la strada dell’oblio è lastricata di buone intenzioni lasciate a metà. Monti prometteva di salvare l’Italia, Renzi di cambiarle verso, Di Maio e Salvini di chiudere una stagione di austerità spezzando le reni all’Europa. Limitandoci al solo Capitano, in quattordici mesi la crescita del Pil ha rallentato da +1,5% a -0,1%, in Europa governano ancora Macron e Merkel con la benedizione del suo amico ungherese Viktor Orban e Quota 100, quella che in campagna elettorale era la cancellazione della Legge Fornero, si è rivelato un prepensionamento per pochi intimi. Aggiungiamo: Salvini è tornato all’opposizione poco prima che il suo bluff fosse svelato interamente, evitando le responsabilità di una manovra difficile come quella che attende il Conte Bis, con 23 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare e spazi fiscali di intervento piuttosto limitati.
Tenetevi una foto di Salvini, perché il politico e il pokerista sono due mestieri diversi e nel vocabolario di Andreotti, probabilmente, la parola “azzardo” non c’era nemmeno. Perché c’è poca differenza tra lo sfidare un elettorato polarizzato con un referendum costituzionale il cui quesito è “se perdo, lascio la politica” e aprire una crisi al buio chiedendo pieni poteri. Quando Salvini entrò al Viminale, tutti pensammo che non sarebbe cascato nello stesso errore, che fosse più solido di Renzi, che il precedente del suo quasi omonimo fosse talmente didascalico da essere il perfetto memento mori. Sbagliavamo.
Tenetevi una foto di Salvini, perché nessuno si basta da solo e non basta il rapporto col popolo per governare. Perché di ascoltare analisi retrospettive e retroscena che parlano di un leader che ha fatto il vuoto attorno a sé, che si è circondato di fedelissimi signorsì, che non ascolta più nessuno, che è convinto di essere l’unico depositario della verità, sinceramente, non ne abbiamo più voglia. Né abbiamo bisogno di taumaturghi che credono di rappresentare da soli la volontà di 60 milioni di italiani.
Tenetevi una foto di Salvini, perché la politica non è comunicazione e soprattutto non è una somma di istanti in cui chiamare l’applauso. È sangue e merda, diceva Rino Formica. È mediazione degli interessi, non decisionismo. È gestione del dissenso, non del consenso. È lavorare in silenzio, non una costante televendita. È cambiare il Paese senza bacchette magiche, che Montecitorio non è Hogwarts e voi non siete Harry Potter. Tenetevi una foto di Salvini, perché se fallirete è lui che torna.
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