I cittadini sono spinti a compiere azioni utili per l’ambiente quando la loro visibilità è alta a livello locale: un effetto a catena che moltiplica la diffusione dei comportamenti positivi fino a trasformarli in ‘norme sociali’. Non solo: questo meccanismo di azione dal basso può allargarsi fino a produrre trasformazioni su larga scala e arrivare ad influenzare anche gli accordi internazionali sul clima.
E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sulla Review of Environmental Economics and Policy, in cui i ricercatori dell’Università di Bologna, della Georgia State University (Usa) e della Princeton University (Usa) hanno fatto il punto sui numerosi esperimenti e contributi di ricerca sul tema della cooperazione per la gestione sostenibile dei beni comuni locali e globali, con un’attenzione particolare all’attenuazione dei cambiamenti climatici.
“Seguendo le teorie economiche classiche si arriva a formulare previsioni piuttosto pessimistiche sulla nostra capacità di affrontare il problema del cambiamento climatico – dice Alessandro Tavoni, ricercatore dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio – Ma la nascita e la diffusione dei tanti movimenti dal basso per la riduzione delle emissioni che abbiamo visto negli ultimi tempi sembra smentire questa impostazione. Il nostro studio mostra il potenziale delle iniziative locali e suggerisce alle istituzioni di promuoverle come esempi da diffondere a tutti i livelli“.
I ricercatori evidenziano, dunque, due aspetti: il potere della visibilità e il ruolo della fiducia. Il comportamento delle persone è influenzato dalle ‘norme sociali’ che prendono forma intorno a loro: come agiscono i vicini, i conoscenti, i colleghi, cosa succede e come si trasforma l’area in cui vivono. E questo vale anche per i comportamenti legati ai cambiamenti climatici, nonostante la dimensione globale del problema.
“Se prendiamo ad esempio due azioni di riduzione delle emissioni come l’installazione di pannelli solari o l’acquisto di un’auto ibrida – spiega – notiamo che le persone sono più invogliate a scegliere queste soluzioni se vedono che altri nella loro cerchia sociale le hanno già adottate”. Un meccanismo di imitazione, questo, che può essere sfruttato anche in modo attivo per favorire comportamenti virtuosi.
Il passo successivo, a questo punto, è diffondere le azioni virtuose per la riduzione delle emissioni su contesti più ampi. Ed è qui che, accanto alla visibilità, entra in campo un altro elemento decisivo: la fiducia. “Nei Paesi in cui il livello di fiducia reciproca è alto, sono maggiori le azioni intraprese dai singoli cittadini per la riduzione delle emissioni – dice Tavoni – Questo perché ci si aspetta che i propri concittadini, e magari anche i cittadini di altri Paesi, si impegneranno allo stesso modo per favorire il bene comune”.
Quando si parla di azioni per contrastare il cambiamento climatico, del resto, la fiducia (o la sua mancanza) è decisiva anche nelle relazioni internazionali e nelle complesse trattative per raggiungere accordi condivisi. A questo livello, l’analisi dei ricercatori mostra che una soluzione efficace è l’annuncio da parte di un Paese o di un gruppo di Paesi di azioni significative per la riduzione delle emissioni. Queste scelte politiche, infatti, finiscono per influenzare gli altri Stati, che a loro volta decidono di intraprendere azioni simili.
Il processo di negoziazione che ha portato all’Accodo di Parigi sui cambiamenti climatici – suggeriscono i ricercatori – potrebbe essere stato condizionato proprio da questo meccanismo di influenza e imitazione da parte dei diversi Paesi coinvolti. Tanto che l’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo non è stato seguito da altre defezioni. “Al contrario – precisa Tavoni – la decisione degli Stati Uniti è stata contrastata da una maggiore spinta alla coesione”.
Lo studio è stato pubblicato sulla Review of Environmental Economics and Policy con il titolo ‘Cooperation in the Climate Commons’. Gli autori sono Stefano Carattini (Georgia State University, Usa), Simon Levin (Princeton University, Usa) e Alessandro Tavoni (Università di Bologna, Dipartimento di Scienze economiche).
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