Riaprire la partita delle autonomie regionali o lasciare che il fuoco acceso da Veneto, Lombarda ed Emilia si spenga da sé? Bel problema per il Conte-Bis che eredita un faldone arcicomplesso, a suo tempo legato agli interessi e ai desiderata della Lega ma ora non esattamente in sintonia con l’orizzonte (anche elettorale) di Pd e M5s, situato prevalentemente a Sud.
Al meeting di Cernobbio i governatori nordisti hanno fatto squadra per rivendicare la necessità di ripartire non da zero ma dal progetto già lungamente covato a Palazzo Chigi. Non gli basteranno contentini su competenze marginali, vogliono pure scuola e sanità e sono pronti (Attilio Fontana dixit) a legiferare in proprio se non saranno soddisfatti.
Il neo-ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia ha replicato con toni che lui stesso ha definito “gandhiani”, e tuttavia non si potrà fare melina ancora a lungo: presto si dovrà decidere se esercitare anche su questo terreno la discontinuità oppure riavviare il dialogo.
Il fatto è che le due grandi questioni nazionali – il Nord e il Sud – restano ferme lì come macigni fin da quando, negli anni ’90, fecero la loro comparsa sotto forma dei primi successi della Lega e della debacle della Dc determinata proprio dal voto meridionale.
Da allora il divario tra le due Italie si è moltiplicato in tutti i principali settori – crescita, occupazione, servizi – e insieme ad esso sono cresciute enormemente due percezioni sempre esistite ma a lungo minoritarie: al Nord l’idea di faticare per tutti, di trainare ogni giorno una zavorra di fannulloni inoperosi e mafiosi; al Sud la convinzione di essere abbandonati al malaffare, al sottosviluppo e ora pure al ritorno dell’emigrazione di massa per cercare pane e felicità.
Nessuno si è mai occupato sul serio della più grande ferita nel principio di uguaglianza che la Costituzione dovrebbe garantire: la differenza di opportunità tra il nascere a Milano oppure a Reggio Calabria. È qualcosa che ormai tocca ogni diritto individuale e sociale, dall’istruzione fino alla salute: solo per citare un dato, gli indici di mortalità per malattie croniche al Sud segnano percentuali dal 4,7 al 28 per cento superiori alla media nazionale.
L’incendio delle rivendicazioni autonomiste e l’ideologia del “ciascuno provveda per sé’” nasce da qui, ed è illusorio pensare di spegnerlo con l’elusione o il rinvio. Il prezzo potrebbe essere l’apertura di un conflitto che finora è rimasto latente o confinato alle manifestazioni di piazza ma che mai si è esteso alle scelte istituzionali: lo scontro tra il governo di Roma e le regioni che costituiscono il motore produttivo del Paese e tirano la carretta del Pil. Nessun partito finora si è sentito di affrontare questo tipo di cimento.
Anzi, tutti hanno blandito il Nord e hanno fatto concessioni ai partiti che lo governavano, a cominciare dalla sinistra, che nel 2001 con la Riforma del Titolo V della Costituzione pose le basi dell’autonomia (e si aggiudicò l’aiuto di Umberto Bossi).
Adesso il processo arriva in vista della tappa finale, dopo un ventennio di lento avanzare nella legislazione e nel dibattito pubblico, e quella tappa è costituita dal misterioso testo (non è mai stato reso pubblico) elaborato da Lega e Cinque Stelle per 14 mesi nelle stanze di Palazzo Chigi. Strapparlo e ricominciare da capo richiederà coraggio. Tenerselo, pure: abdicare su scuola e sanità significa dire addio ai due principali cardini dell’unità nazionale.
L’accordo di governo siglato da democratici e grillini sul punto è piuttosto ambiguo. Al punto 20 del testo si collega la scelta dell’autonomia differenziata alla garanzia di “livelli essenziali delle prestazioni” con un fondo di perequazione “per garantire a tutti la medesima qualità dei servizi”. Ma tutti sanno che individuare questi “livelli essenziali” sarà un lavoro annoso, e il Nord ha già detto che non intende aspettare: vuole l’intesa subito, poi quando saranno fissate le prestazioni minime si adeguerà alla richiesta di contribuire.
Ed è immaginabile che il nuovo ruolo d’opposizione della Lega rafforzerà le richieste e la turbolenza dei protagonisti. Al vecchio Conte I gestito da Matteo Salvini il Nord poteva fare qualche sconto, concedere qualche dilazione, il nuovissimo Conte II di sicuro non beneficierà dello stesso trattamento.
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