Con i suoi monti e i laghi fatti di idrocarburi che ricordano un paesaggio terrestre, la più grande luna di Saturno continua a stupire: a scavare i crateri che accolgono i laghi di Titano sono state esplosioni avvenute nel sottosuolo e non impatti di meteoriti, come si è creduto a lungo. Pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, la scoperta si deve al gruppo coordinato da Giuseppe Mitri, del dipartimento di Ingegneria e Geologia dell’Università ‘Gabriele d’Annunzio’ di Pescara, e del quale fanno parte Jonathan Lunine e Valerio Poggiali della Cornell University, e Marco Mastrogiuseppe del California Institute of Technology (Caltech).
Rappresentazione artistica di un lago di idrocarburi su Titano, con le rive in rilievo (fonte: NASA/JPL-Caltech)
“La sonda Cassini ha scoperto su Titano mari e laghi di idrocarburi e ha osservato che i laghi si estendono soprattutto nel polo Nord. Non si capiva però quale fosse la loro l’origine”, ha osservato Mitri. L’ipotesi più accreditata era si trattasse di fenomeni simili a quelli carsici che avvengono sulla Terra, ma è stata smentita dalle osservazioni fatte dalla sonda Cassini alla fine dei suoi 13 anni di carriera. In particolare i dati relativi all’altimetria hanno indicato che in molti laghi le rive erano più alte.
“Grazie ad analisi ulteriori di queste strutture ci siamo accorti che si trattava di strutture esplosive, simile a quelle dei cosiddetti ‘maar'”, strutture prodotte da fenomeni vulcanici, simili a quelle che si trovano nei Colli Albani. Niente di simile, però, è avvenuto su Titano. “L’unico processo possibile – ha osservato il ricercatore – potrebbe essere stata un’esplosione avvenuta vicino alla superficie”.
Mentre il metano e l’etano presenti sulla più grande luna di Saturno sono stabili alle temperature rilevate da Cassini, l’azoto non è affatto. “Così abbiamo studiato l’evoluzione di Titano e abbiamo capito che su questa luna sono avvenute esplosioni correlate a variazioni di temperatura su Titano dovute a cambiamenti climatici”. In seguito a questo fenomeno l’azoto è diventato instabile ed è esploso all’interno della crosta ghiacciata, a una profondità intorno a 100 metri.