Una nuova misura dell’espansione dell’universo indica che è più giovane del previsto, di circa 2 miliardi di anni. I nuovi dati indicano che va ridefinito il valore di riferimento, la cosiddetta costante di Hubble, finora utilizzato per calcolare quanto le galassie si allontanano le une dalle altre. È quanto emerge dai due studi pubblicati sulla rivista Science dal gruppo dell’Università australiana del Queensland coordinato da Tamara Davis, e dal gruppo dell’Istituto tedesco Max Planck per l’Astrofisica coordinato da Inh Jee.
Il valore della costante di Hubble è risultato “un po’ più alto di quello standard”, spiegano gli autori della ricerca, che hanno utilizzato per le misure ila tecnica della lente gravitazionale, un effetto, previsto dalla Teoria della Relatività generale di Einstein, per il quale una galassia massiccia distorce la luce proveniente da un altro oggetto posto alle sue spalle e la amplifica, permettendo di osservarlo meglio.
“La costante di Hubble ci dà informazioni sulle dimensioni e l’età dell’universo. Se il suo valore misurato aumenta, vuol dire che l’universo è più giovane di quanto credessimoo”, spiega il fisico Salvatore Capozziello, che insegna cosmologia e Relatività Generale all’Università Federico II di Napoli ed è associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Rappresentazione grafica dell’espansione dell’universo (fonte:NASA / WMAP SCIENCE TEAM)
Il primo a intuire che il cosmo non è statico è stato nel 1929 l’astronomo americano Edwin Hubble che, studiando le galassie, notò che si allontanavano dalla nostra. La misura dell’accelerazione dell’espansione dell’universo, i cui teorici sono stati premiati in agosto con la medaglia Dirac , è stata ottenuta in passato in modo indiretto col satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), che ha studiato il cosmo bambino ad ‘appena’ 380.000 anni dopo il Big Bang . Un altro tipo di misura è, invece, stata fatta in modo diretto calcolando quanto velocemente si allontanano da noi oggetti astrofisici di cui possiamo misurare la distanza, come le supernovae.
Ma le due misure discordano, suggerendo che la nostra visione dell’universo è incompleta. I cosmologi stanno, quindi, cercando di migliorarle. “Questo risultato potrebbe essere la spia di una nuova fisica, il segno che c’è qualcosa che ancora ci sfugge”, ha chiarito Capozziello. Le ipotesi più accreditate sono due. “Da un alto – spiega il cosmologo – l’esistenza di nuove particelle, come fotoni dotati di massa. Dall’altro – aggiunge Capozziello – la discrepanza tra le misure potrebbe essere spiegata con estensioni su larga scala della Relatività generale. Uno scenario – conclude il fisico – che ritengo più probabile”.
Misure più dettagliate dell’espansione dell’universo potranno arrivare dai nuovi segnali di onde gravitazionali generate dalla collisione tra coppie di ‘sirene’ cosmiche, le stelle di neutroni, nelle quali la materia raggiunge una densità estrema. Segnali captati dagli esperimenti Ligo e Virgo, che nel 2019 hanno ripreso a scrutare il cielo con maggiore sensibilità.