Per due anni e mezzo auto segregati in casa, incollati al computer, nutrendosi solo di merendine, biscotti e caramelle pur di non uscire di casa. Così avrebbe vissuto una famiglia del Nord Salento, in pratica tutti veri e propri schiavi di Internet. Secondo quanto ricostruito dalla Gazzetta del Mezzogiorno, il figlio quindicenne avrebbe anche rischiato di cadere nella trappola della Blue Whale, il folle gioco che spinge gli adolescenti al suicidio.
Genitori e figli per anni avrebbero vissuto in questo modo, fin quando gli insegnanti della figlia di 9 anni non avrebbero allertato gli assistenti sociali. Sarebbe stata proprio la piccola a curare persino la spesa per l’alimentazione della famiglia, dovendo uscire per recarsi a scuola. Il padre, di 40 anni, e la madre, di 43, sarebbero ora in cura con psicologi e psicoterapeuti che hanno il compito di strapparli alla dipendenza patologica dal web. Tutti i componenti della famiglia avrebbero vissuto questo stato di dipendenza dal web, consumando davanti al monitor qualche piccolo pasto, abbandonando anche la cura di se stessi.
Il ragazzo avrebbe vissuto davanti al suo laptop nutrendosi sporadicamente e senza lavarsi, ridotto praticamente ad essere uno scheletro che cammina. Durante la segregazione in casa, il piede è cresciuto di due numeri ma è rimasto sempre nelle stesse scarpe, troppo piccole per quel corpo chiamato a svilupparsi in maniera sana.
I rischi del web
“Lo diciamo da anni, il web ha migliorato le nostre vite, ma nasconde anche dei rischi altissimi. E la drammatica storia che arriva dal Salento rende attuali i nostri avvertimenti”. È quanto afferma il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Puglia, Antonio Di Gioia, in riferimento alla notizia di una famiglia salentina rimasta per due anni e mezzo chiusa in casa dopo aver sviluppato una dipendenza patologica da web. “Ne abbiamo parlato in relazione al fenomeno delle scommesse online, ma anche ad esempio della diffusione di filmati hard in rete”, prosegue Di Gioia.
“Come abbiamo già avuto modo di dire, tutti abbiamo sottovalutato i pericoli della Rete e della sovraesposizione dei più giovani, specie dei ragazzi più fragili, facili bersagli in un contesto slegato da riferimenti reali e concreti”. “La novità del caso del Salento”, prosegue il presidente degli psicologi, “è semmai il coinvolgimento degli adulti, di entrambi i genitori. Forse la spiegazione va cercata nella giovane età della coppia, non quella attuale ma quella in cui hanno dato il via alla vita coniugale. Lui, infatti, secondo le informazioni riferite dalla stampa, aveva 25 anni quando è nato il primo figlio, lei un paio d’anni in più. Ma naturalmente non può essere considerata la causa di questa chiusura col mondo esterno e lo sviluppo della dipendenza dal web.
È necessariamente una serie di concause ad aver provocato questa situazione. Di certo a questa famiglia sono mancati punti di riferimento stabili, tali da consentire loro di confondere il reale con il virtuale”. “Questo è un caso limite”, prosegue Di Gioia, “ma la dipendenza dal web sta diventando un vero problema. È per questo necessario che le istituzioni si impegnino ad avviare percorsi incentrati sulle relazioni socio-affettive rivolti ai giovanissimi, soprattutto in ambito scolastico, ma anche agli adulti, che vanno aiutati nei Centri di Ascolto per le Famiglie a gestire le relazioni con gli adolescenti in un contesto in continua evoluzione e mutamento”. “Le dipendenze”, conclude Di Gioia, “sono devastanti, perché non hanno ripercussioni solo sull’individuo affetto da questa patologia, ma anche su chi gli sta accanto, la famiglia in primis e la comunità sociale. In questo caso la famiglia ne e’ rimasta vittima nella sua interezza”.
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