A parte il revanscismo, il centrodestra che si allinea al vettore salviniano ha anche una strategia? Vincere in Umbria e in Emilia Romagna, d’accordo; calare sul tavolo la carta del referendum elettorale per il maggioritario, va bene; agitare le piazze in nome del furto di democrazia e contro lo ius soli: sì; e benissimo anche le ordalie versus Asia Argento in tv da Barbara D’Urso con selfie in happy end… ma questo è vitalismo per non dire caciara. Il punto è capire se il centrodestra salviniano ha un’idea di se stesso e del paese che intende tornare a governare. Se ha una strategia, appunto. E sembra di no.
«A Giancarlo (Giorgetti), Salvini avrebbe chiesto di riformare la Lega, di profilarla con una sagoma più istituzionale, più realista – dice un parlamentare leghista – ma io non ho ancora capito né cosa voglia dire né soprattutto cosa dovrebbe fare Giorgetti. E penso non l’abbia capito nemmeno lui, visto che non sta facendo niente». Sintomatico. E anche quanto sta avvenendo dentro Forza Italia – il partito che una manciata d’anni fa era ancora la forza egemone della destra italiana – è sintomatico: lo specchio d’un disorientamento si direbbe.
Nel documento dei gruppi parlamentari azzurri dove si esprime l’urgenza che il partito resti ancorato al centrodestra – e dunque rinsaldi l’intesa finora fragile con Lega e Fratelli d’Italia – c’è la raccomandazione berlusconiana di non farsi condizionare e egemonizzare da populismi e sovranismi. Ma è una mozione di principio, un atto di dignità formale; la realtà è che l’intendenza forzista, tranne poche e timide eccezioni, gravita ormai psicologicamente e politicamente nell’orbita di Matteo Salvini.
Di liberalismo e popolarismo europeo, per dire, non parla più nessuno, a parte Gianfranco Rotondi, ed è indicativa l’inversione a U sulla posizione di forza Italia rispetto alla mozione della Lega per promuovere il referendum elettorale per il maggioritario in primavera. L’ordine di scuderia rivolto all’astensione partito dal vertice di Forza Italia s’è tramutato in poche ore in un via libera di fronte alla spinta del partito sui territori a favore del sì, così che la mozione referendaria è stata subito approvata nelle regioni guidate dalla Lega in Sardegna, Veneto, Lombardia e Friuli mentre sono in dirittura d’arrivo la Liguria di Giovanni Toti e il Piemonte, dove governatore è il forzista Alberto Cirio, che ha aderito all’indicazione leghista derubricando a “discussioni legittime” le contrarietà del vertice azzurro.
È il segno esplicito che il vortice magnetico intorno a cui il centrodestra italiano ruota è il movimentismo di Matteo Salvini. Ma Salvini è appunto un movimentista, uno che si muove come non ci fosse un domani.
Dicono in Lega che Salvini abbia finalmente realizzato l’entità del frontale avuto ad agosto con la realtà ma, a parte l’incarico dato a Giorgetti del restyling del partito, sembra che il capitano abbia ripreso a muoversi come prima, improvvisando appunto: «Cosa che non gli viene nemmeno male, e però il problema è come va a finire» – dicono sempre i leghisti più dubitosi anche se a denti stretti.
Il resto del centrodestra, Meloni e Forza Italia, s’adegua e come l’intendenza segue, pensando che fuori dalla coalizione a cui Salvini garantisce almeno il 30 per cento di sangue e vita non ci sia salvezza.
Un calcolo umano ma il cemento del rassemblement non ha niente di propulsivo, è un pacchetto di mischia più che una coalizione di cui non si indovina una prospettiva che non sia quella regressiva verso la comfort zone degli slogan: no immigrazione, no tasse, tolleranza zero, il tutto condito dalle solite urla contro il palazzo abitato fino a ieri e contro il furto di democrazia. Vado in piazza dunque sono. Ma non si capisce cosa. Per esempio non si capisce che rapporto dovrebbe avere questo nuovo centrodestra con l’Europa, se improntato al massimalismo chiacchierone e inconcludente dei mesi passati in gialloverde o invece intonato a un profilo più realista e fattivo. Né si riesce a indovinare quale sarebbe lo scatto d’una Lega al governo col centrodestra rispetto alla Lega di governo coi Cinquestelle su temi come l’istruzione, la riforma fiscale, la riforma della magistratura. Per ora l’unica cosa che appare evidente è la confusione, e la forza esercitata da Salvini nel centrodestra italiano. E poi ieri è morto Jacques Chirac “un liberale che sconfisse Le Pen”, come ha ricordato Berlusconi. Ed è anche questa forse una cosa sintomatica.
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