Pubblicato il: 30/10/2019 10:57
Da una parte ci sono gli investimenti realizzati, in aumento del 24% rispetto al 2012, e una crescita della percezione della qualità del servizio idrico; dall’altra una rete ‘colabrodo’ con perdite idriche ancora troppo elevate e un 11% di cittadini italiani ancora senza il servizio di depurazione della acque reflue. E resta il gap tra Nord e Sud che disegna una mappa del servizio idrico integrato a due velocità.
I dati del settore sono contenuti nel Blue Book promosso da Utilitalia, realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di Istat. “Per recuperare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati”, dichiara il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti.
Gli investimenti. Con il trasferimento delle competenze di regolazione e controllo all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera), gli investimenti realizzati hanno registrato una crescita costante arrivando a 38,7 euro ad abitante nel 2017, con un aumento del 24% negli ultimi 7 anni. Un incremento che, a quanto emerge dallo studio, sembra destinato a perdurare.
Una rete vecchia che disperde ancora troppo. Nel frattempo però il Blue Book rileva anche delle criticità, dovute in prevalenza alla vetustà delle reti e degli impianti: le perdite di rete stimate nel 2016 sono superiori al 42%; il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani) e il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani). L’incremento di investimento pro capite previsto per il biennio 2018-2019 per la riduzione delle dispersioni idriche imposto dalla disciplina Arera è di 6 euro per abitante, mentre per il miglioramento delle acque di scarico (con livelli di qualità più stringenti rispetto alla normativa vigente) è richiesto un sforzo aggiuntivo di 7,2 euro per abitante.
Carenza di depurazione e sanzioni Ue. Poi, c’è quell’11% di cittadini non ancora raggiunto dal servizio di depurazione delle acque reflue, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle Isole, in territori gestiti da enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali. Un ritardo che ci costa le sanzioni europee, anche se su questo fronte qualche miglioramento c’è: gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034), per la quale la Corte di Giustizia ha già irrogato una multa, si sono ridotti da 109 a 74; mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza (2009/2034) sono stati sanati 27 siti irregolari su 41 (restano così 14 le aree su cui è necessario ancora intervenire). Migliora anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), che ha visto passare il numero degli agglomerati in infrazione da 879 a 620. Alle tre procedure si è recentemente aggiunta una quarta, la 2017/2181, ancora all’inizio dell’iter procedurale: la Commissione Europea ha inviato una lettera di costituzione in mora con cui richiede informazioni in merito ad ulteriori 276 agglomerati.
La percezione della qualità del servizio idrico nel 2018 risulta piuttosto elevata: le famiglie che sono allacciate alla rete idrica comunale (96% del totale), nell’84,6% dei casi, si ritengono molto o abbastanza soddisfatte. Le percentuali variano sensibilmente sul territorio: nel Nord le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono il 91,9%; nel Centro e nel Sud tale quota diminuisce di circa dieci punti, mentre nelle Isole scende al 67,0%. Soprattutto in queste ultime due aree geografiche, ci sono famiglie che si dichiarano poco o per niente soddisfatte.
Quanto ci costa l’acqua di casa. Nel 2018 in Italia la spesa media mensile familiare per consumi di beni e servizi è di 2.571 euro mensili: per la fornitura di acqua nell’abitazione ogni famiglia ha speso in media 14,65 euro (era di 14,69 nel 2017). I livelli medi di spesa più elevati si registrano nel Mezzogiorno (16,87 euro) e nel Centro (16,43); valori inferiori alla media si riscontrano invece nel Nord (12,41). Confrontando la spesa media mensile familiare per la fornitura d’acqua con quella di altri servizi utilizzati (canone tv, rifiuti, telefonia, energia e gas) si osserva che ha un’incidenza contenuta e rappresenta solo il 3,4% del totale.
Serve un grande piano per il Sud. “Restano aree del Paese in forte ritardo – spiega il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti – soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità fra diverse parti del Paese. Potenziare il sistema delle imprese idriche nel Mezzogiorno – continua – è la via obbligata per migliorare la qualità dei servizi, con importanti impatti sull’occupazione e l’indotto locale. È importante non perdere questo treno: serve un grande piano per il Sud che punti a far decollare l’infrastrutturazione e a garantire un servizio universale a cui tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di nascita, hanno diritto”.
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